In Italia esiste una voce che unisce sconosciuti in ogni angolo del Paese. Persone di tutte le età e professioni, costrette ogni giorno a uscire da casa e a prendere un treno senza sapere quando arriveranno a lavoro, a scuola, all’università. A convivere con carrozze gelide a gennaio e infuocate a giugno, cercando di riorganizzare la propria vita in base ai ritardi delle linee. E poco conta l’orario che è scritto sul biglietto che hanno in mano, perché poi un avviso, scandito al megafono della stazione, ribalterà tutti i piani: “Ci scusiamo per il disagio”. Un messaggio familiare alle migliaia di pendolari d’Italia, che oggi è diventato anche il titolo di un libro. Lo hanno scritto due giornalisti, Gerardo Adinolfi (la Repubblica) e Stefano Taglione (il Tirreno), dopo aver raccolto le storie dei viaggiatori di Regionali, Intercity e Alta velocità.
“Ci scusiamo per il disagio – si legge nell’introduzione – per i milioni di pendolari, che ogni giorno viaggiano sui treni italiani, vuol dire soltanto l’ennesimo cartellino timbrato in ritardo al lavoro, o la consueta cena ormai fredda sul tavolo di casa. Il dover entrare a scuola alla seconda ora, sotto lo sguardo di rimprovero del dirigente scolastico”. Il libro è un reportage diviso a tappe, o meglio a fermate, che parte dalla Sicilia e arriva fino in Piemonte, per cercare di scoprire e spiegare le cause dei disservizi. E in cui si intrecciano testimonianze, interviste, dati e ricerche.
Il risultato è una fotografia poco incoraggiante del nostro sistema ferroviario, in cui quello che dovrebbe essere ordinario è diventato straordinario, dove le infrastrutture cadono a pezzi, e dove possono volerci ore per percorrere una manciata di chilometri. Un’Italia divisa a metà e a due velocità. Basta qualche esempio. Ragusa, capoluogo di provincia. Qui, in stazione, il tempo si è fermato e per raggiungere Siracusa, 106 chilometri di distanza, bisogna salire su una littorina degli anni Cinquanta. Due ore di viaggio per una velocità media che a malapena supera i 50 chilometri orari. E se si pensa che per spostarsi da Bologna a Milano, 200 chilometri, è sufficiente un’ora sul Frecciarossa il confronto è impietoso. Oppure Matera, capitale europea della cultura 2019, ma ancora senza una stazione funzionante, collegata alla rete nazionale.
Nel loro viaggio, i due autori incontrano chi vive sulla propria pelle questo disastro. Pendolari e lavoratori. Come Massimo Macucci, professore universitario a Pisa ma con casa a Pistoia, che ogni mattina prende il treno alle 6.55 senza avere la certezza di arrivare in aula in tempo. Per questo è stato obbligato a chiedere al suo ateneo di non mettergli lezioni alla prima ora. E dire che il suo treno è già lento, considerando che da tabellone impiega 1 ora e 23 minuti, quasi il doppio dello stesso tragitto in auto.
Ma c’è anche Gaia, pendolare sulle linee lombarde Trenord, che in un anno ha perso 2451 minuti di vita per aspettare treni in ritardo. Stiamo parlando di un giorno, 16 ore e 15 minuti buttati via. O Silvio Davolio, pendolare emiliano, che ha collezionato le 43 giustificazioni di Trenitalia per i disservizi, dal “guasto alla linea ferroviaria” alla “variazione di turno del personale del treno” fino alla “grande affluenza di viaggiatori alle stazioni precedenti”. Chiude un’intervista a un capotreno accoltellato dopo aver chiesto il biglietto a un passeggero. Prima dell’aggressione, pensava avrebbe indossato quella divisa per sempre. E invece oggi, a distanza di molto tempo, non riesce ancora a risalire su un treno.
Ma l’inchiesta non finisce nelle 156 pagine del libro. Gli autori infatti hanno aperto anche un’omonima pagina Facebook e un profilo Twitter, dove a ogni ora i pendolari possono mandare segnalazioni di tutto quello che non va sui nostri treni: ritardi, cancellazioni, carrozze sovraffollate o invivibili. E continuare così il viaggio tra l’ordinario disagio.