Per Vincenzo Cesareo, numero uno degli industriali di Taranto, l'apertura di un'indagine da parte della Commissione non è la prima preoccupazione. Il vero nodo è "la mancanza di un disegno strategico". Quanto ai commissari, "non mi fido di una azienda che comunque è gestita e amministrata da chi è un professionista nell’accompagnare procedure concorsuali"
“Onestamente, non sono così preoccupato del fatto che possa trovare rispondenza ad aiuti di Stato quanto è previsto nella legge di Stabilità, sebbene mi renda conto che non sia facilissimo poi trovare un privato che risponda a una garanzia per 800 milioni di euro. Quello che mi spaventa di più è invece la mancanza di un disegno strategico, una ‘exit strategy‘ reale ed efficace. Non si capisce qual è il piano industriale e qual è il progetto”. Così il presidente degli industriali di Taranto, Vincenzo Cesareo, ha commentato la notizia che la Commissione europea sta valutando l’avvio di un’indagine per aiuti di Stato sulle norme contenute nel decreto ‘Salva Ilva’ e sugli emendamenti ad hoc inseriti nella legge di Stabilità. Che prevedono tra l’altro, appunto, un’ulteriore garanzia pubblica da 800 milioni.
Nel frattempo però un tribunale svizzero ha bloccato il rientro in Italia degli 1,2 miliardi sequestrati alla famiglia Riva, su cui i commissari del siderurgico contavano per il risanamento ambientale dello stabilimento e l’esecutivo ha messo sul piatto altri 300 milioni di prestito ponte che “chi compra dovrà restituire”. Sempre che entro il termine fissato al 30 giugno 2016 si faccia avanti qualcuno disposto ad accollarsi un gruppo che perde 50 milioni al mese.
“Ottocento milioni da soli non saranno sufficienti ad ambientalizzare lo stabilimento”, è l’opinione di Cesareo. “Comincia a vacillare la fiducia nelle possibilità di salvare sia lo stabilimento che Taranto, anche perché soprattutto nei confronti dell’indotto è stata perpetrata l’ennesima attesa. I Riva, con tutte le corbellerie che possono aver combinato, non hanno mai lasciato un euro di debito ai fornitori cosa che invece lo Stato italiano ha lasciato a piene mani nello spazio gestionale di un paio di esercizi. Non abbiamo ancora conoscenza di un piano industriale, non sappiamo cosa vuol fare il governo e come si vuole gestire lo stabilimento, non abbiamo contezza delle risorse. So che il management si arrangia cercando di fare il meglio che può con le poche risorse a disposizione. Le nozze con i fichi secchi non si possono fare”.
Poi l’affondo contro la gestione commissariale: “Ricordo che le procedure di amministrazione straordinaria sono contemplate dal diritto fallimentare e io, onestamente, non mi fido, già a livello di mercato, di una azienda che comunque è gestita e amministrata da chi è un professionista nell’accompagnare procedure concorsuali. La struttura commissariale ha una mission e un compito diversi. Noi abbiamo bisogno di chi abbia il sogno imprenditoriale di far tornare a decollare lo stabilimento”.
Infine il numero uno di Confindustria ventila pure il dubbio che dietro la procedura di infrazione ci siano “pressioni” di altri gruppi industriali europei: “Ne sono convinto”. E in effetti la Commissione ha avviato le sue indagini in seguito alle denunce inviate a Bruxelles dagli industriali siderurgici tedeschi e inglesi, oltre che dall’associazione Peacelink. Ma “mi preoccupa molto di più che i miei colleghi hanno annunciato e stanno annunciando che mettono in libertà i lavoratori perché non possono più pagare gli stipendi“.