La Società italiana autori ed editori, sebbene a fatica, sembra, finalmente, essersi resa conto che essendo un ente pubblico economico sottoposto alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Ministero dell’Economia – voglia o non voglia – le tocca adeguarsi alla vigente disciplina in materia di trasparenza delle pubbliche amministrazioni in senso lato.
In effetti la Società, nella sezione “Siae trasparente” del proprio sito istituzionale, continua a sostenere di essere estranea all’ambito di applicazione di tale disciplina ma di aver comunque inteso rendersi più trasparente “prendendo spunto” da tali regole.
In attesa che l’Autorità Nazionale anticorruzione chiarisca – meglio di quanto abbia già fatto – che la trasparenza, per la Siae, non è un beau geste ma semplicemente l’adempimento ad un obbligo di legge, basta scorrere i pochi e confusi dati resi disponibili dalla società per rendersi conto di quanto sia ancora opaca la trasparenza in casa Siae.
A prescindere dai dati – e sono tanti – che la società sarebbe tenuta per legge a pubblicare e che continua a non pubblicare, val la pena, tanto per cominciare, mettere in fila quelli che ci sono, spesso mascherati da quelli che appaiono errori e sviste provvidenziali a consentire alla Siae di continuare a proteggersi da sguardi indiscreti. Il primo riguarda il contratto che lega la Società autori ed editori al suo direttore generale, Gaetano Blandini.
Nella sezione “Siae trasparente” si riferisce che Gaetano Blandini sarebbe stato nominato direttore generale nell’ottobre del 2009 ma se poi si clicca sul link alla scheda che dovrebbe dar conto del compenso percepito ci si imbatte in un’indicazione che, per qualche strana ragione, si riferisce ai compensi complessivi percepiti del Consiglio di gestione. Se è un errore è un errore davvero curioso e provvidenziale per la società e per il suo direttore generale.
E’ stato, infatti, proprio il dg della società, in un’audizione davanti alla Commissione Cultura del Senato della Repubblica, nel febbraio del 2012 a raccontare che il suo contratto, concluso per la durata di quattro anni, sarebbe scaduto nel 2013 e che prevedeva un compenso – a seguito di alcune sue generose “auto-decurtazioni” – di 435mila euro all’anno più 135mila euro, sempre all’anno, di premio di risultato e, quindi, in totale – a seconda degli obiettivi raggiunti o non raggiunti – circa 560mila euro ogni anno.
E’ questo l’importo del compenso che alla fine del 2015 finirà nelle tasche del direttore generale della Siae e che, forse per una forma di comprensibile pudore, ci si è vergognati di pubblicare? Impossibile a dirsi perché quel che è certo è che nel 2013 il contratto firmato nel 2009 tra la Siae ed il suo direttore generale è scaduto e, successivamente, deve essere stato rinnovato. Il nuovo – o la delibera di rinnovo del vecchio – naturalmente avrebbe dovuto essere pubblicato online con tanto di corrispettivi, premi ed emolumenti vari ma, sfortunatamente, sul sito istituzionale della società non c’è traccia del dato in questione. Una svista?
Ma veniamo alle pagine che ci sono ed ai link che funzionano. Quello, ad esempio, relativo alle consulenze e collaborazioni che la Siae compra sul mercato non bastando, evidentemente, i quasi 90 milioni di euro che spende, ogni anno, per il proprio personale.
Nel 2015, la società – prima che l’anno sia finito – dichiara di aver speso oltre 5 milioni di euro in consulenze e collaborazioni di ogni genere. Quasi 100 mila euro in formazione, per lo più corsi di lingua e coaching per i suoi 43 dirigenti. Oltre 300 mila euro in consulenze e prestazioni professionali aventi per oggetto attività più e meno originali: si va dalla “Revisione ‘layout’ edificio Direzione generale” fino alle più tradizionali attività di comunicazione, sicurezza sul lavoro e formazione aziendale. Quasi quattro milioni e mezzo di euro in “consulenze specialistiche” per lo più dedicate all’attività di comunicazione e promozione del brand della società che, pure – val la pena ricordarlo – opera in una condizione di sostanziale monopolio sul mercato. Eppure oltre all’attività di Virginia de Marco, responsabile per la Comunicazione, la Siae, nel 2015, ha avvertito l’esigenza di servirsi di uno stuolo di consulenti diversi: la Letizia d’Amato s.r.l., la MN Holding e la Alkemy srl.
Ammontano, invece, a poco più di 120 mila euro i compensi complessivi investiti dalla Siae in consulenti legali. I dati di spesa relativi a questo piccolo esercito di consulenti, sono, purtroppo, pubblicati – in aperta violazione della disciplina vigente – in forma aggregata con la conseguenza che non è possibile sapere quanto la Siae ha effettivamente versato ad ogni singolo professionista o ad ogni società.
E quelli sin qui pubblicati non sono che una minima parte dei dati relativi ai costi sostenuti, nel 2015, dalla società per l’acquisto di beni o servizi; per averne conferma basta scorrere i dati relativi ai costi di produzione indicati nel bilancio preconsuntivo 2015 inserito nel Bilancio preventivo 2016 appena pubblicato.
E, d’altra parte, è la stessa Siae a ricordare con un’indicazione non esattamente “a norma di legge” che si tratta di “contenuti in corso di aggiornamento”; come se un cittadino tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi potesse limitarsi a riportarvi parte dei suoi redditi, ripromettendosi di aggiornarli in prosieguo. Se, ad esempio, si sfogliano i dati pubblicati nella sezione “Siae trasparente” a proposito degli affitti pagati dalla società si scopre che secondo la scheda pubblicata online, la Siae avrebbe speso sin qui [2 dicembre 2015, ndr] “appena” 8,5 milioni di euro in affitti mentre, secondo il bilancio preconsuntivo, alla fine dell’anno, dovrebbe spenderne oltre 11, 5 milioni di euro. Dove sono i tre milioni di euro che mancano all’appello? Sono tutti canoni che la società dovrà versare tra il 2 ed il 31 dicembre?
Impossibile, in ogni caso, non chiedersi se, nel 2015, per gestire diritti d’autore serva per davvero spendere una cifra monstre compresa tra gli 8,5 e gli 11,5 milioni di euro di affitti in giro per l’Italia, permettendosi addirittura il lusso di affittare, a Roma, due immobili diversi uno per la direzione della società ed uno per la sede di Roma: rispettivamente quasi 6,5 milioni di euro e oltre 320 mila euro.
Ma navigando tra le pagine della “Siae trasparente”, uno dei dati che lascia più di stucco è quello relativo all’imponente patrimonio immobiliare che la Società, negli anni, ha accumulato e che è ora confluito nei tre fondi immobiliari costituiti a tal fine: il Fondo Norma, quello Aida e quello Nabucco. Il valore complessivo dei tre fondi supera i 200 milioni di euro.
Possibile che una società nata “solo” per intermediare i diritti degli autori ed editori riesca ad accumulare così tanta ricchezza in un Paese nel quale la più parte dei titolari dei diritti – autori ma anche editori – fa fatica ad arrivare alla fine del mese? Ma, soprattutto, che fine farebbe questo straordinario tesoretto – che, peraltro, è solo parte della ricchezza della Società – se, come potrebbe accadere presto, la Siae dovesse essere “ridimensionata” ex lege nei suoi ruoli e nelle sue funzioni?
Davvero troppo opaca la trasparenza di una società che dovrebbe essere soggetta alla vigilanza di due Ministeri e della Presidenza del Consiglio dei ministri e che gestisce soldi non suoi ma dei titolari dei diritti. E’ urgente che le Autorità di vigilanza e l’Autorità Nazionale anti-corruzione richiamino la società all’ordine, invitandola a rispettare le regole e diventare trasparente per davvero.