Analizzando i numeri di Banca d'Italia si scopre che nel biennio 2013-2014, quello dei governi Letta e Renzi, i redditi penalizzati sono stati quelli più bassi. Con i soldi impiegati per lo sgravio Irpef si sarebbe potuta eliminare l'indigenza grave migliorando le condizioni di vita di milioni di italiani
La grave crisi economica iniziata nella seconda metà dello scorso decennio sembra ormai superata ed è possibile tracciare un primo bilancio delle perdite sui redditi delle famiglie. Il conto non è stato ripartito “alla romana”, cioè in parti uguali tra tutti, ma a sopportarlo maggiormente è stata la fascia più povera della popolazione. Le politiche adottate dal governo negli ultimi due anni hanno reso ancor più grave la situazione, con interventi come il bonus di 80 euro che non hanno favorito il riequilibrio della distribuzione dei redditi.
Due conti per capire a chi è andata peggio – Secondo l’indagine della Banca d’Italia il reddito disponibile delle famiglie italiane nel 2014 è stato di 30.525 euro, in crescita dello 0,5% rispetto al 2012. Considerando che nel biennio 2013-2014 il deflatore dei consumi finali delle famiglie è aumentato dell’1,4%, il reddito reale e il relativo potere di acquisto si sono ridotti dell’1%. Mettendo in fila le famiglie italiane dalla più povera alla più ricca e dividendole in dieci parti uguali (decili), è andata peggio alle famiglie più povere, quelle che provano a sbarcare il lunario con 6.511 euro all’anno (542 euro al mese). Anziché essere maggiormente tutelate, le famiglie del primo decile hanno accumulato tra il 2006 e il 2014 una perdita del 32% del reddito disponibile reale, il doppio di quella subita dalle famiglie italiane nel loro complesso.
Se tra il 2006 e il 2008 il reddito delle famiglie povere era diminuito del 7,6%, nel 2010 del 3,8% e nel 2012 del 13,4%, quanto accaduto negli ultimi 2 anni ha dell’incredibile. I nuclei familiari del primo decile hanno avuto una contrazione del reddito da 7.268 a 6.511 euro, con una perdita del 10,4% nominale e 11,7% reale (cioè sempre tenendo conto anche dell’aumento dei prezzi). Tra il 2012 e il 2014 non tutti ci hanno rimesso, visto che i redditi dal secondo all’ottavo decile sono aumentati tra lo 0,6% e l’1,5% reali. Sul risultato incide anche la differente composizione, con una percentuale di non occupati presenti nella fascia più bassa che passa dal 28,8% del 2012 al 39,8% del 2014.
È possibile anche dare un volto alle famiglie che compongono il primo decile, a partire dalle caratteristiche del capofamiglia. Si tratta di nuclei familiari in prevalenza a conduzione femminile (il 56,3% rispetto al 35,2% medio); senza lavoro (il 39,8% rispetto al 5,6%); che vivono nel meridione (il 55,2% rispetto al 32,5%); di età inferiore ai 40 anni (il 45,7 % rispetto al 27,2%); di cittadinanza straniera (il 18,6% rispetto al 6,1%); monocomponenti (il 55,4% rispetto al 29,3%); con un titolo di studio che non supera la licenza elementare (il 36,5% rispetto al 22,5%).
Le misure sbagliate dopo la mazzata di Monti – Dopo le misure di austerità imposte da Monti per far fronte al grave lascito di Berlusconi sui conti pubblici, i governi Letta e Renzi che gli sono succeduti non hanno saputo mettere in campo politiche efficaci di lotta alla povertà. Il bonus di 80 euro mensili per i lavoratori dipendenti con un reddito compreso tra circa 8.100 e 26.000 euro, introdotto da Renzi a ridosso delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e confermato con la legge di Stabilità 2015 ha, semmai, contribuito ad aumentare le disuguaglianze, considerando che gli incapienti non ne hanno potuto beneficiare.
A riceverlo sono stati il 21,9% dei nuclei familiari (linea rossa punteggiata della figura 2), ma solo il 3,1% degli appartenenti al primo decile ne ha potuto usufruire e la proporzione cresce all’aumentare del reddito, raggiungendo proporzioni superiori al 30% per gli appartenenti all’ottavo e nono decile, che con redditi tra i 40 e i 50mila euro all’anno, non avevano certo necessità di sostegno economico.
Una misura elettorale senza effetti sui consumi – Le famiglie intervistate dalla Banca d’Italia hanno dichiarato di aver speso il 90% dell’importo ricevuto, ma si tratta di una percezione che non trova riscontro nell’evidenza che l’85% delle famiglie beneficiarie ha conseguito nel 2014 un risparmio superiore al bonus ricevuto e che, quindi, aveva comunque disponibilità economiche per spendere. È un fatto, poi, che oltre ad essere iniquo, il bonus si è rivelato inefficace per il rilancio della domanda interna, a giudicare dall’evoluzione del quadro macroeconomico, che vede una crescita debole dei consumi privati, sia nel 2014 che nel 2015. Con i dieci miliardi di euro spesi per finanziare a regime il provvedimento si sarebbe potuta eradicare la povertà assoluta, migliorando le condizioni di vita di alcuni milioni di italiani. Anche nella legge di Stabilità 2016 si preferisce, invece, insistere con misure che sembrano avere solo l’obiettivo di massimizzare il consenso elettorale.
Da il Fatto Quotidiano di mercoledì 16 dicembre 2015