Nel cuore di quella parte del Cilento che si affaccia su un mare cristallino c’è un sindaco renziano e deluchiano, molto vicino al governatore della Campania, che per quattro anni, dal 2008 al 2012, si è ‘dimenticato’ di acquisire al patrimonio pubblico tre immobili sottratti al clan camorristico dei Marotta (detti “gli zingari”) lasciandoli di fatto nella loro disponibilità.
Per questo il sindaco Pd di Agropoli (Salerno) Franco Alfieri, ex assessore provinciale ai Lavori Pubblici e a lungo candidato in pectore alle ultime regionali, è stato condannato dalla Corte dei conti della Campania a risarcire in solido 40.000 euro di danno erariale insieme ad alcuni amministratori e dirigenti del Comune cilentano. Motivo: la sua amministrazione ha pagato a lungo il fitto di appartamenti di proprietà privata per collocarci servizi di interesse pubblico. Che avrebbero potuto essere ospitati negli immobili confiscati alla camorra: un centro sociale, un centro assistenziale, l’università della terza età. La sentenza è arrivata dopo un’inchiesta coordinata dal pm contabile Aurelio Laino e condotta dal Gico di Salerno. Per le stesse vicende, è in corso un procedimento penale a Vallo della Lucania, dove sono state depositate le intercettazioni ambientali di alcuni colloqui dove Alfieri parla con esponenti del clan di “promesse di casa e lavoro”.
Il 31 gennaio 2013 la cimice piazzata nell’ufficio del sindaco registrò Fiore Marotta (da un mese agli arresti domiciliari) entrare nella stanza e chiedere un contratto di lavoro, utile per poter chiedere l’affidamento in prova. La risposta di Alfieri fu affermativa: “Non ti preoccupare, ti faccio fare una cosa coi servizi sociali”. Marotta ne fu contento: “E allora ci posso contare… io la devo portare all’avvocato”. I magistrati sintetizzarono così: “Dall’autorità comunale ottiene ampia rassicurazione e completa disponibilità”. Fiore Marotta era l’intestatario di uno dei tre appartamenti sequestrati e affidati al Comune. Furono oggetto di un sopralluogo del 2012: uno era vuoto ma ristrutturato di fresco, uno con la serratura cambiata, uno era occupato da un Marotta. L’inchiesta penale ipotizzò che il sindaco puntasse al consenso elettorale della comunità rom. Quella contabile si è limitata ad accertare il danno alle casse comunali.
A marzo Alfieri fece da battistrada a un gruppo di sindaci furbetti che aprirono contenziosi su multe o ricorsi di poco conto, per avviare così una procedura di ‘decadenza’ e rendersi candidabili alle elezioni regionali senza causare il commissariamento delle amministrazioni. La segreteria provinciale Pd lo aveva anche inserito nella rosa dei candidati. La segreteria regionale lo depennò, perché all’epoca imputato di corruzione nell’inchiesta “Due Torri Bis”, storie di appalti pubblici risalenti al periodo in cui era assessore provinciale (accuse poi estinte per prescrizione a fine settembre, ndr). Alfieri infine si arrese e rinunciò a candidarsi – e bloccò la procedura di decadenza, rimanendo al suo posto – nonostante duecento firme di protesta di sindaci e amministratori locali inviate a Matteo Renzi. “Ho accolto – disse Alfieri – l’invito di Vincenzo De Luca a fare un passo indietro”. Alfieri concluse con un invito a sostenere De Luca nella corsa a Governatore: “Vincenzo De Luca è l’unica persona capace di cambiare le cose affinché la Campania non sia più ultima. Il suo successo è la miccia dalla quale riaccendere la speranza per la Campania, per i nostri figli, per il nostro territorio”.