La copertina da sondaggio per il 2015 va al Movimento Cinque Stelle: nel periodo gennaio-dicembre è stata la forza politica che ha registrato il maggiore incremento, oltre 8 punti percentuali, dal 20,9 di inizio al 29,1. I dati sono quelli di Ipsos per il Corriere della Sera, pubblicati anche sulla versione online del quotidiano alla quale si riferiscono anche le tabelle in questa pagina. A petto dell’ascesa apparentemente irresistibile del M5s, si registrano un calo (relativamente lieve) del Pd di circa 3 punti (dal 34,3 al 31,2), la stabilità della Lega Nord intorno al 14 (dal 13,5 al 14,3) e il capitombolo di Forza Italia che ha fatto crollare il partito berlusconiano fin quasi sotto la quota del 10 per cento, dal 14,3 al 10,8. E il governo? La fiducia in un anno è calata del 4 per cento circa, mentre quella personale nel presidente del Consiglio Matteo Renzi ha registrato una flessione più vistosa, dal 47 al 38 per cento; ciononostante il segretario democratico è comunque il leader che ispira più fiducia.
Pd-M5s: due punti di distacco
Quello che salta all’occhio, ad ogni modo, è l’avvicinamento del M5s al Pd. Secondo la rilevazione dell’istituto di Nando Pagnoncelli (che ha come tutti un margine d’errore di circa il 3 per cento), i Cinque Stelle a oggi sarebbero a due punti di distanza dai democratici, 29,1 per cento contro il 31,2. Una sorta di bipolarismo di fatto, visto che gli altri sono parecchio staccati: Lega al 14,3, Forza Italia al 10,8 e – tra i partiti che supererebbero la soglia di sbarramento ad oggi – Fratelli d’Italia al 4,3, Area Popolare al 3,9 e Sinistra Italiana al 3,4.
Centrodestra unito? Tutto cambia
Come ormai acclarato, tutto cambia se il centrodestra corresse con una lista unica. In questo caso si tornerebbe al “tripolarismo” cui siamo abituati ormai dalla non vittoria di Pierluigi Bersani nel 2013. In questo caso però le percentuali sarebbero leggermente modificate, lista per lista. In questo modo: il Pd salirebbe (di poco) al 31,5 e il fiato sul collo questa volta sarebbe proprio del listone Lega-Forza Italia-Fdi. Il M5s scenderebbe al 27,8. A seguire i “nanetti”: Sinistra Italiana al 3,5 e Area Popolare al 3,4. Tutti gli altri, fuori dal Parlamento. Perché accadrebbe questo? Una risposta potrebbe essere una preferenza di una parte degli elettori – minuscola e quasi ininfluente per i sondaggi – a favore del voto “utile” (a battere il centrodestra) piuttosto che “di protesta” (con la scelta per i Cinque Stelle). Insomma: meglio il Pd per fermare Berlusconi e Salvini che non rischiare di riconsegnare il Paese al centrodestra votando il M5s. Ma questa è solo un’ipotesi.
Ballottaggio Pd-M5s, vincono i 5 Stelle (anche con i voti di Lega e Fdi)
Certo, i due scenari danno vita a due schemi di ballottaggio completamente diversi, che comunque confermerebbero le tendenze degli ultimi mesi. Nel primo caso al secondo turno andrebbero Pd e Movimento Cinque Stelle e a vincere sarebbero proprio i grillini, con un distacco del 5 per cento: 52,5 a 47,5. Confermati anche i possibili flussi di voto tra primo e secondo turno: al ballottaggio finirebbe al M5s larga parte le preferenze di chi al primo turno ha votato Lega Nord e Fratelli d’Italia (e per un terzo anche Forza Italia), mentre il Pd farebbe il pieno (insufficiente comunque per la vittoria) tra gli elettori di Sinistra Italiana, Nuovo Centrodestra e Udc.
Ballottaggio Pd-centrodestra, stravince Renzi (anche con i voti M5s)
Nel secondo caso, invece, al ballottaggio andrebbero Pd e listone di centrodestra. Anche in questa ipotesi non ci sarebbe gara: i democratici vincerebbero con uno scarto di quasi il 10 per cento: 54,8 a 45,2. In questo caso gli elettori M5s si dividerebbero tra astensionisti e indecisi (40 per cento), Pd (35) e centrodestra (25). Scontate le scelte di chi al primo turno voterebbe Sinistra Italiana e Area Popolare.
Leader, la fiducia in Renzi cala. Ma è sempre primo
In un anno sono cambiati anche gli indici di popolarità dei leader, ma in qualche modo sono cambiati anche gli stessi leader. Esempio uno: a gennaio, all’interno del M5s, si misurava solo la fiducia in Beppe Grillo (salita comunque da gennaio a dicembre, dal 22 al 28 per cento); ma da settembre viene “misurata” anche la popolarità di Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera e membro del direttorio Cinque Stelle, che oggi è l’unico a avvicinarsi davvero alle quote di fiducia di Renzi (38 contro 36). Esempio due: da gennaio a oggi sono quasi spariti leader che prima sembravano “centrali” come Nichi Vendola e Angelino (oggi entrambi al 16 per cento). Esempio tre: l’arrivo nello scenario di “nuovi leader”, come Enrico Zanetti, sottosegretario all’Economia e segretario di Scelta Civica, partito per certi versi inesistente nei sondaggi.