Un mese fa la Bce diceva: "Dubbi sul grado di redditività necessario a supportare base patrimoniale e espansione dell'attività". Così anche la promessa di non licenziare, presente nel piano industriale, potrebbe essere di quelle scritte sulla sabbia in riva al mare
Consumato il rito assembleare ed estorto ai soci un sì plebiscitario alla trasformazione in spa, all’aumento di capitale e alla quotazione in Borsa, ora per Veneto Banca viene il difficile. Cioè dimostrare nella pratica che la banca ha davvero i numeri per andare avanti e implementare un piano industriale che, come ha sottolineato nel suo intervento assembleare l’amministratore delegato Cristiano Carrus, è molto ambizioso e “non prevede nemmeno un licenziamento”. I primi a non crederci sono gli stessi dipendenti che nella tensostruttura di Volpago del Montello hanno salutato con una standing ovation il discorso di Carrus. Non basterà infatti vendere il jet privato di cui si serviva Vincenzo Consoli e le decine di auto blu di proprietà della banca per ridurre le spese e recuperare redditività. E’ evidente che Veneto Banca ha bisogno di ben altro e lo dice chiaramente la stessa Bce in una lettera datata 20 novembre. La vigilanza di Francoforte traccia il quadro delle debolezze patrimoniali e strutturali del gruppo di Montebelluna e, tra le altre cose, a proposito del piano 2015-2020 approvato lo scorso ottobre scrive: “Persistono comunque dubbi sul fatto che Veneto Banca sia in grado, permanendo come soggetto autonomo, di raggiungere il grado di redditività necessario a supportare un’adeguata base patrimoniale e l’espansione della propria attività”.
In buona sostanza, tutti sono consapevoli del fatto che è necessario trovare al più presto un compratore e a fronte di un settore la cui redditività è messa a dura prova anche da tassi d’interesse “zero”, la promessa di non licenziare sembra di quelle scritte sulla sabbia in riva al mare. Il punto principale, comunque, resta quello dei rischi di ulteriori brutte sorprese. Come ha ammesso lo stesso Carrus in assemblea, le partecipate estere “sono un bagno di sangue” e verranno vendute ma – come ha sottolineato il collegio sindacale in diverse lettere indirizzate al consiglio d’amministrazione – non basta annunciare la vendita perché questa si concretizzi. E c’è di più. In questi mesi il nuovo collegio sindacale di Veneto Banca si è mostrato particolarmente attivo e ha messo in evidenza in più di un’occasione le criticità della gestione.
Un aspetto molto rilevante che emerge è che non tutto il patrimonio di Veneto Banca è stato passato al setaccio dagli ispettori della Bce e il collegio sindacale ha richiesto un audit su questa parte, attualmente valorizzata 750 milioni, nonché sulle attività creditizie di Banca Intermobiliare e di Banca Apulia, richiamando “l’attenzione sul rischio che altre operazioni anomale (aventi comunque impatto sul patrimonio) possano emergere”. Quindi, nonostante la pulizia di bilancio effettuata in questi mesi, dalle pieghe dei bilanci possono emergere ancora delle brutte sorprese, senza considerare “il rilevantissimo comparto” dei contenziosi. Tra questi al collegio sindacale paiono molto importanti quello relativo a Finanziaria Capitanata-Banca Apulia “il cui verbale relativo al tavolo di lavoro contiene affermazioni di rilevante pericolosità fonte di possibile significativo impatto economico sulla banca in termini di una sua responsabilità” e quello relativo a Scanferlin (socio di Banca Intermobiliare) per il quale “il collegio richiede che si accolgano integralmente gli accantonamenti richiesti dalla Bce”. Tutto questo senza considerare i contenziosi potenziali che potrebbero promuovere i soci della banca per le perdite subite.
Ma i rilievi del collegio sindacale non vengono accolti: già a luglio la cessione di Banca Intermobiliare è stata oggetto “di una esplicita richiesta di approfondimento da parte del collegio sindacale e di una pronta, quanto repentina e ferma risposta da parte del presidente di invito a non occuparsi del tema”. Come sappiamo, poi, la vendita dell’istituto torinese è sfumata. A novembre il collegio sindacale chiede che si rispetti la richiesta del Team Bce di scomputare dai fondi propri 347 milioni relativi alle azioni il cui acquisto è stato finanziato dalla banca. Il 10 novembre, però, il consiglio d’amministrazione ha provveduto a scomputare dal capitale solo 286,1 milioni. La lista delle mancanze e dei ritardi è lunga e fa sorgere molti dubbi sul fatto che l’attuale dirigenza di Veneto Banca abbia davvero il polso della situazione.
Il piano industriale – che peraltro ha giocato anche un ruolo chiave nella determinazione del prezzo (teorico) di recesso di 7,3 euro – fissa obiettivi di incremento del margine commissionale, di riduzione dei costi operativi e di miglioramento della qualità del credito “superiori rispetto alle stime fornite da terzi indipendenti sul sistema bancario italiano nel suo complesso”, non è stato sottoposto – come chiedeva invece il collegio sindacale – alla valutazione di un esperto indipendente e risulta accompagnato solo da una comfort letter pervenuta peraltro “successivamente all’approvazione del piano stesso da parte del consiglio d’amministrazione”.
Se questo è il biglietto da visita con il quale la ormai ex popolare di Montebelluna intende presentarsi al mercato, si può facilmente prevedere che il percorso rischia di essere molto accidentato e anche molto doloroso per i soci e i dipendenti.