Cultura

Alessandro Baricco: “Renzi deve andare avanti con ferocia. A 40 anni non si hanno alibi possibili”

Lo scrittore, che non è stato alla Leopolda, parla della sua scuola, della crisi dell'Europa e anche del premier e della rottamazione: "In questo paese sembra si debbano fare le cose facili ma queste non portano da nessuna parte. A ogni generazione è toccata in sorte un passaggio molto arduo"

di F. Q.

“Ci sono stati anni difficili ma ho sempre lottato per questa Scuola. Mi sento molto fortunato”. Alessandro Baricco – scrittore, saggista e sceneggiatore – ne parla nella sala professori della “sua” creatura, la Scuola Holden, nata a Torino nel 1994. Qui si insegna “quella cosa chiamata storytelling”, formando narratori a tutto tondo poiché narrazione e realtà sono legate a doppio filo, “dalla notte dei tempi”. Ampie vetrate, arredi in legno, pareti dominate dalla tonalità arancione e soprattutto tanti ragazzi nella nuova sede nel quartiere di Borgo Dora. Sono destinati a essere i narratori del domani ma quando in mezzo a loro passa Baricco (che è tornato in tv con Miti ed eroi su Rai5) si percepisce chiaramente quanto sia temuto il loro preside.

La sede originaria della Holden era in una palazzina liberty. Dal 2013 avete in concessione comunale trentennale i 4000 mq della ex Caserma Cavalli.
La sede originaria era piccola, quel modello economico non era più gestibile. Il progetto ha preso vita riuscendo a convincere Carlo Feltrinelli, servivano fondi che io non avevo. Subito dopo si sono aggiunti Oscar Farinetti (fondatore della catena Eataly) e l’imprenditore Andrea Guerra (ex ad di Luxottica). Lavorare con un fondo di investimento sarebbe tutt’altra cosa.

Dopo anni di difficoltà le iscrizioni sono in aumento. Cos’è cambiato?
Abbiamo fatto i nostri sbagli, adesso curiamo meglio l’approccio dei ragazzi con la nostra scuola ma credo che c’entri anche la situazione economica generale. Dopo un lungo inverno mi sembra che si sia rimesso in moto qualcosa e le famiglie investono sul futuro dei propri figli.

L’Italia è un paese di pochi lettori, come dobbiamo interpretare la formazione di nuovi narratori?
È un grosso dato di speranza. Significa che ci sono tanti ragazzi che vogliono narrare delle storie, non necessariamente scrivere libri.

Come giudica questa generazione di giovani, precaria e più povera dei propri genitori?
Innanzitutto non è più povera. C’eravamo abituati al fatto che i figli sarebbero stati più facoltosi dei propri genitori, oggi invece molti possono ambire a mantenere il livello della propria famiglia. Una situazione talmente nuova che viene letta come un crollo, invece è un sanissimo fermarsi in questa folle corsa verso un profitto sempre più grande.

Cambia l’ad alla Scuola Holden e arriva l’ex ct della Nazionale di pallavolo, Mauro Berruto. Perché lui?
Oggi la scuola la fanno un gruppo di persone ristrette fra i 33 e i 45 anni e poi ci sono i soci che intervengono strategicamente. Serve una persona che li tenga insieme, capace di mettere saggezza e coraggio. Per anni l’ho fatto io, ma adesso passo la palla a lui e torno ai miei mestieri.

Ma che cos’è lo storytelling?
È ed è sempre stato una parte della realtà. Dedicarsi allo storytelling significa narrare la realtà stessa, permette di divenire più consapevoli del proprio agire. La narrazione cura la paura. I bambini chiedono una storia prima di andare a letto ed entrare nel buio.

Perché ha dichiarato a Ballarò che “la pace è un gesto coraggioso”?
Non muoversi quando si è colpiti è il vero coraggio. Come uscire la mattina dopo gli attacchi e andare a Place de la Republique. Un coraggio mite che coincide spesso con la capacità di sofferenza. Strillare con le armi in pugno non è coraggioso.

Il vostro nuovo tormentone è #2016EuropadeiSequel. Cosa significa?
La crisi dell’Europa la puoi leggere come una crisi di narrazione. Non abbiamo una storia credibile da raccontarci e quelle in piedi sono tutte distruttive. Forse i narratori europei dovrebbero applicarsi al tema.

Perché oggi l’Europa vacilla?
Sì è perso l’ideale. Manca la prossima puntata. Era una storia di buoni contro cattivi, ma si è rovesciata la prospettiva. Credo che per uscire dall’impasse serva una svolta narrativa epocale.

Ovvero?
I figli devono ammazzare i padri. O l’Europa collassa oppure finisce nelle mani dei figli.

In che senso?
Serve un ricambio. Deve subentrare una generazione di trenta-quarantenni con idee chiare sull’Europa ma devono essere anche capaci di imporre la propria visione con la forza politica.

In Italia la rottamazione è difficile.
Ma è sempre difficile. In questo paese sembra si debbano fare le cose facili ma queste non portano da nessuna parte. A ogni generazione è toccata in sorte un passaggio molto arduo. Quando uno ha quarant’anni come Renzi, non ha alibi possibili. Deve riuscirci.

Cosa consiglia a Renzi?
Deve andare avanti con la stessa ferocia e determinazione con cui altre generazioni hanno fatto la guerra e costruito l’Europa. C’è gente che ha tirato giù il Muro di Berlino e noi ci spaventiamo perché non riusciamo a ringiovanire il paese? È una vera follia.

Eco, Carrère, Cercas, Piano e Piketty parleranno alla Holden. Anche Renzi.
Fra i politici lui più di altri sa cosa sia lo storytelling. E fa parte della generazione dei figli, da cui aspettiamo le intuizioni giuste.

Anche quest’anno non è stato alla Leopolda.
Va bene così.

In Europa il futuro è adesso?
Era già prima. Adesso siamo già ai tempi supplementari.

E se il ricambio fallisse?
Il peggiore scenario possibile è il prevalere degli scenari populisti, come accade nel momento del panico. Bisogna essere complessi nel pensare e semplici nell’agire, non viceversa. Se prevarrà la paura e si chiuderanno le frontiere, l’Europa soffocherà.

François Hollande ha parlato di guerra e le folle hanno intonato la Marsigliese.
Non è un bel segnale. Un francese non può usare la parola guerra con leggerezza.

di Francesco Musolino

Dal Fatto Quotidiano del 19 dicembre 2015

Modificato da redazione web

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