Si deve scoprire da soli che il mito della religione dei buoni cristiani non è caduto durante le crociate, continua a cadere ad ogni persecuzione, inquisizione, intolleranza. È caduto di nuovo con gli eccidi di massa dei cattolici croati ai danni dei serbi di Krajna che hanno costituito l’origine di tutti quelli successivi. Il mito del martirio serbo è caduto con gli eccidi delle milizie di Arkan e dell’esercito di Mladić. Il mito della pace serbo-ortodossa è caduto con l’arroganza, il nazionalismo e l’odio razziale del vescovo serbo-ortodosso Artemjie di Gracanica ai quali si è unita, come se non bastasse, anche la disonestà. Il mito dell’Islam terrorista e fondamentalista si è infranto con le 400 moschee distrutte dai serbi e dagli stessi guerriglieri albanesi. Il mito dell’Islam albanese moderato e tollerante si è infranto nelle 135 chiese ortodosse distrutte prima, durante e dopo la guerra.
Così scrive Fabio Mini nella prefazione del limpido e godibile libro di Giovanni Punzo, Dobro. Storie balcaniche, pubblicato da Cierre Edizioni. Attraverso l’esperienza diretta dell’autore nella ex Jugoslavia logorata dalla guerra viene svelata al lettore la geografia umana, e intima, di questi luoghi.
Non si tratta solo di un saggio, di un reportage, di un memoriale, ma di un mix di questi elementi amalgamati con storie antiche che parlano di coraggio alpino, con la critica letteraria e con il tentativo di spiegare la lunga storia dei Balcani. Da Sarajevo a Banja Luka, parlando con le persone, cercando di carpirne i sentimenti e disquisendo continuamente con il lettore attraverso le parole di Emilio Lussu, le pagine del John Reed de Gučevo e la valle dei cadaveri, de Il ponte sulla Drina di Ivo Andrić o Breviario mediterraneo di Predrag Matvejevic, Giovanni Punzo è riuscito a scrivere un libro originale dalla prosa semplice ma di grande spessore, navigando tra passato e presente, cercando di sensibilizzare sulla colpevolezza del mondo occidentale davanti a questo micromondo autentico che si è sgretolato sotto i nostri occhi, senza che nessuno facesse realmente qualcosa.
Oggi, un testimone popolare come YouTube, sempre più rappresentativo non solo della realtà balcanica, ma della temuta e agognata globalizzazione, presenta ormai le immagini dei vari contingenti impegnati in Kosovo in perenne addestramento antisommossa: lunghe file di scusi ed elmi con visiera continuano a ricordare indirettamente quel momento di relativa impreparazione o di mezza disattenzione.