Lunedì Guo Guangchang, irrintracciabile da quattro giorni, è riapparso come nulla fosse al meeting annuale della sua compagnia a Shanghai. Il numero uno del colosso di investimenti Fosun, uno dei maggiori conglomerati privati cinesi, era trattenuto dalla polizia per collaborare a un’investigazione top-secret che riguarderebbe suoi “affari privati” ma che non lo vedrebbe coinvolto; sembra plausibile che l’ennesimo capitolo della campagna anticorruzione di Xi Jinping veda indagate alcune sue conoscenze.

Soprannominato il “Warren Buffet” cinese, Guo è il tipico self-made man: nel 1992 creò Fosun con alcuni amici del college, ora è il diciassettesimo uomo più ricco in Cina e la sua azienda è partita da un gruppo di compagnie di assicurazioni i cui fondi sono stati reinvestiti in svariati settori, finanza, operazioni industriali, immobili, media, retail, in tutto il mondo. Fosun ha speso oltre 30 miliardi di dollari in acquisizioni estere e alla fine di giugno 2015 deteneva beni per 55 miliardi di dollari.

L’impero di Guo è solo una delle multinazionali private che hanno fatto fortuna nell’epoca più impetuosa delle riforme tra gli anni ’90 e 2000, giganti che assumono un ruolo strategico nel “going global” di oggi. Negli ultimi cinque anni sono state sempre più assertive all’estero: in Europa, sulla scia della crisi, dalle acquisizioni di compagnie in bancarotta da parte di imprese statali si è passati a business di successo comprati da capitale privato cinese.

Ora anche il settore privato è nel mirino della lotta alla corruzione. Un’analisi di Eurasia Group mostra che il numero di singole ispezioni nel 2015 è già oltre il quadruplo rispetto al 2013. Il target è soprattutto il settore pubblico, dove clientelismi e collusione tra business rosso e politica sono più che un effetto collaterale, ma un autentico tratto distintivo del sistema. La leadership di Xi ha lanciato un forte segnale verso i potentati intoccabili che ostacolano le sue riforme: si pensi all’arresto Zhou Yongkang, la tigre del petrolio.

Dopo lo scoppio della bolla sui mercati finanziari trainata dalla speculazione, la Commissione Disciplinare guidata da Wang Qishan si è rivolta verso il comparto finanziario: le indagini si sono dirette verso Citic, Haitong e Guosen, le maggiori società di brokerage del Paese, nonché verso dirigenti di agenzie di intermediazione e banche accusati delle manipolazioni alle spalle del crollo della piazza di Shanghai. Come nel caso di Guo, una lunga serie di big della finanza, le cui connessioni e potere li rendono equivalenti per posizione a ufficiali al vertice del governo, sono letteralmente scomparsi.

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La sparizione del “Warren Buffet cinese” è densa di significati: Derek Scissors, esperto di economia cinese, spiega ad Agence France Presse che nessuno può sentirsi tranquillo, neanche con una reputazione immacolata e un rapporto di fiducia col governo dato dal suo contributo al boom economico, come Guo. Che sia a causa delle proprie conoscenze o per il “comportamento improprio”, tutti sono vulnerabili. Ma la collusione con la politica è inevitabile in un’economia in cui anche il settore privato è controllato dal governo e con esso intrattiene complesse relazioni fiduciarie; inevitabili le indagini per corruzione, in un sistema che faticosamente cerca di autolimitarsi.

Il Wall Street Journal sottolinea inoltre un tratto distintivo dei colossi privati cinesi, la guida di un “uomo chiave” indispensabile al loro funzionamento: da Jack Ma a Wang Jianlin, questi personaggi trainano la fiducia degli investitori, così la loro “assenza” è in grado di affossarne il rating.

Casi come quello di Guo e il clima di incertezza seguito alla sua breve scomparsa mettono in luce i metodi polizieschi e non trasparenti dell’apparato anti-corruzione che, specie in casi che coinvolgono CEO di multinazionali private, non giovano alla tranquillità dei mercati. Non sorprende che la svendita delle azioni del gruppo Fosun sia proseguita anche dopo la sospensione del congelamento temporaneo seguito alla notizia della scomparsa, perdendo il 10% lunedì. Intanto vi sono dubbi sul successo di accordi in corso da parte del gruppo, tra qui quelli con Phoenix Holdings, BHF Kleinwort Benson, and Hauck & Aufhauser.

Mentre economia e mercati finanziari cinesi si aprono a livello globale, la latitanza del rule of law è il sintomo di un’economia ancora chiusa, per molti versi, oltre che un elemento che mina la legittimità agli occhi del mondo del business e dell’opinione pubblica di quella che dovrebbe essere una campagna vitale per lo sviluppo economico del Paese. E se l’economia cinese ha bisogno di ripulirsi dalla corruzione per seguire l’imperativo dell’efficienza, da più parti si segnala che il clima di paura innescato negli ambienti del business cinese dai metodi delle indagini influirebbe sul rallentamento economico.

Di Rebecca Arcesati per @Spazioeconomia

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