“Sono un morto che cammina”, dice da una località protetta che si guarda bene da rivelare. “Ho una taglia sulla testa, metto il piede a Roma e mi ammazzano”. Ai tempi, lo chiamavano Il Crispino, per via dei capelli riccioluti. Poi, per ragioni romanzesche, è diventato Il Freddo. Oggi, Maurizio Abbatino ha 61 anni. Per la prima volta da quando non è più in carcere accetta di parlare con un giornale. E’ un signore che, dopo una vita passata con generalità false o protette, ha ritrovato il suo vecchio nome, quello che fece di lui il re della peggiore malavita romana. La Banda della Magliana: che con Franco Giuseppucci, Il Negro (Il Libanese nella fiction), ha formato e guidato.
Da allora, però, Roma è cambiata: lei è davvero convinto che ci sia chi vuole morto un personaggio senza più potere?
Poi le racconterò quante volte, anche nel corso della mia seconda vita, ci hanno provato. Ma secondo lei Roma è proprio così cambiata? Qualche scemo mi ammazzerebbe solo per prestigio criminale.
Solo per il semplice fatto che lei era il boss della Banda della Magliana?
Non ero il boss.
Insomma, aveva molto potere sugli altri.
Non avevo nessuno sopra di me, ma non ero il capo. Eravamo in molti a decidere.
Quanta gente ha ammazzato?
Tanta. Troppa. Non voglio ricordare.
Chi l’ha ereditato il suo potere?
Un certo Massimo Carminati.
Lo conosce bene lei…
Sì, me lo sono portato dietro quando feci il primo attentato con i tubi innocenti. Un ragazzo serio.
È Carminati a volerla morto?
Anche, ma non solo lui. Nel corso del tempo ho ricevuto molti segnali. Carminati sicuramente è uno di quelli, poi ci sono gli apparati deviati. Quando, dopo la mia confessione, sono stato arrestato, mi hanno spedito a Spoleto, poi volevano mandarmi a Poggioreale. E lì era detenuto Carminati per il furto al caveau della Cassazione. Lo evitai per un soffio. Ma anche quando ero in Sudamerica, sempre in carcere e prima che collaborassi, mi misero in cella con un avvocato che aveva per sé, nella prigione, un appartamento. E sono certo che mi stavano per far fuori.
Lei fu arrestato dopo sei anni di latitanza per una telefonata a casa. La scoprirono così. La rifarebbe quella telefonata?
La feci. Non sono un fesso, sapevo che c’era la possibilità che venissi intercettato. Non avevo chiamato per cinque anni, ma era arrivato il momento. Non potevo vivere con quei pesi, con la droga e con l’alcol. Non mi consegnai, ma non feci nulla per sfuggire alla cattura. Sapevo del rischio, mettiamola così.
Perché decise di collaborare con la giustizia e fece arrestare i suoi ex compagni?
Non ero più protetto. E poi avevano ammazzato mio fratello, lo avrebbero fatto anche con me. Lo faranno, visto che lo Stato mi ha lasciato solo, senza più protezione. E le parla uno che ha un senso di rispetto per la giustizia. Ho collaborato proprio perché non avvenisse più niente di tutto quello che fu. Roma era il Far West.
Secondo lei esiste però una nuova Banda della Magliana?
Esiste Carminati. Che era freddo, lucido. Il più freddo e lucido di noi. E quello con più potere di attrazione. A ogni assoluzione il potere di Carminati è cresciuto. Ha avuto la fortuna di godere di protezioni dall’alto e di essere imputato nell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli insieme a Giulio Andreotti.
Ma lei dalla sua nuova vita e col nome protetto sapeva di Carminati?
Tutti sapevano. Tutti. Non c’era più sangue come allora, come ai tempi in cui la Banda crebbe, ma un altro tipo di potere, e tutto nelle mani di Carminati e dei suoi.
Li hanno arrestati tutti però?
Sì, sono in galera, ma tra pochi anni saranno tutti fuori. E non sono certo che altri non siano liberi.
Secondo lei Carminati uccise Pecorelli?
Non ho le prove. Ho elementi che mi fanno presupporre che fu lui. Non è un mistero che quell’omicidio nacque nel nostro ambiente, nella banda della Magliana. Ordinato da altri, noi lo eseguimmo
Lei era legato a Carminati. Il Cecato o Il Nero, come lo vogliamo chiamare?
Avevo rispetto. Ho messo esplosivi con lui. Era dei nostri, nonostante fosse molto diverso da noi. Comunque sul primo attentato al quale accennavo prima, durante la mia deposizione il nome di Carminati lo lasciai fuori. Ci sono arrivati i magistrati e allora cambiai la mia versione. Ma l’ho anche coperto.
Ci sono persone alle quali il suo ricordo è rimasto legato?
Oltre a mio fratello?
Si, oltre a lui. Parlo dei suoi compagni di malavita.
Franco Giuseppucci.
E Renatino De Pedis?
Anche lui. Ma poi iniziò a fare riferimento alla mafia di Pippo Calò. Era diverso, a modo suo, da noi. De Pedis amava un’altra vita, la bella vita. Pensava ai soldi e li metteva da parte. Agiva con altro spirito, è sempre stato amante dei poteri e della vita da nigth.
Anche lei era pieno di quattrini.
Io avevo la malattia del gioco d’azzardo, li bruciavo, i quattrini. De Pedis no. Non era come me. Ma eravamo legati, certo. Amici.
E’ stato scritto tutto sulla Banda della Magliana?
Una parte di storia. Ma non tutta. Io potrei continuare a parlare, ma a un certo punto mi sono fermato fino al punto in cui avevo le prove. Oltre non sono andato. Non potevo. Ma la storia della banda della Magliana è molto più complessa. E c’entra molto di più con la P2 rispetto a quanto è emerso. Lei tenga conto che ogni tanto il generale Santovito, l’ex capo del Sismi, mi faceva arrivare i saluti. Io non l’avevo neanche mai conosciuto. A un certo punto, non so se per la nostra capacità di uccidere e il controllo del territorio, ma eravamo rispettati dai poteri deviati e da una certa politica, allora molto influente. E se Mafia Capitale, come è stata ribattezzata, è emersa quando ormai tutti sapevano e non potevano fare a meno che esplodesse lo scandalo, qualcuno li aveva coperti. Carminati sapeva benissimo che lo avrebbero arrestato.
Lei parla ancora come un boss.
Sono uno che ha sempre letto i giornali. Tutti sapevano. Tutti conoscono le coperture di Carminati.
Perché lei è così certo che la vogliano morto?
Io non so tutto, ma so molto. Anche di quello che non è emerso. E non credo che sia solo la malavita in giro a volermi far fuori, ma anche alcuni apparati, un tempo servizi segreti, oggi non so più come si chiamano. Nella mia vita blindata mi sono fidato della polizia, certo, ma molto più della squadra mobile che non della Digos.
Però è lei che ha chiesto di uscire dal programma di protezione.
Sì, ma cinque anni fa e comunque non è andata esattamente così. Oggi mi lasciano fuori senza un centesimo in tasca. Vogliono che torni in strada. L’ultima volta mi hanno chiesto l’Iban. L’Iban? Come se io potessi avere un conto corrente. E quelli che guidano il programma protezione lo sanno molto bene. Ma scoppia Mafia Capitale e mi mandano fuori. E’ stata una manovra, non so voluta da chi. Un segnale a coloro che volevano parlare: guardate che fate la fine di Abbatino se collaborate, questo hanno voluto dire.
In Romanzo Criminale lei era Il Freddo. Hanno sbagliato gli sceneggiatori?
Non molto. Io ero quella cosa lì. Forse meno romanzata. Ma quello ero. Poi tutto sommato non ne esco male.
E’ vero che si iniettò il virus dell’Hiv per farsi ricoverare?
Sì, è vero. Nonostante certe cliniche romane fossero praticamente a nostra disposizione, tutti entravamo e uscivamo tutte le volte che volevamo. E tutti sapevano. Io mi iniettai il virus dell’Aids e finsi di non muovere più le gambe ero a Villa Gina. Poi mi sentì come in trappola come se mi si strigesse un cappio al collo. Così decisi di fuggire. Il giorno vivevo su una sedia a rotelle, la notte invece facevo ginnastica in un bagno di un metro per uno, perché non si atrofizzassero i muscoli.
Un romanzo criminale, appunto.
Era Roma in quegli anni. L’Italia di quegli anni. La Magliana.
Cronaca
Mafia Capitale, parla l’ex boss della Magliana Abbatino: “Io? Un morto che cammina. Carminati mi farà ammazzare”
Crispino, 61 anni, per la prima volta da quando non è più in carcere parla a un giornale: "Tutti sapevano che era er Cecato a comandare su Roma, ha ereditato il potere della banda. lo scandalo è esploso quando non poteva essere più tenuto nascosto. Lui ha goduto sempre di protezioni dall'alto: è stato imputato con Andreotti per l'omicidio Pecorelli. La P2? Il generale Santovito mi mandava i saluti"
“Sono un morto che cammina”, dice da una località protetta che si guarda bene da rivelare. “Ho una taglia sulla testa, metto il piede a Roma e mi ammazzano”. Ai tempi, lo chiamavano Il Crispino, per via dei capelli riccioluti. Poi, per ragioni romanzesche, è diventato Il Freddo. Oggi, Maurizio Abbatino ha 61 anni. Per la prima volta da quando non è più in carcere accetta di parlare con un giornale. E’ un signore che, dopo una vita passata con generalità false o protette, ha ritrovato il suo vecchio nome, quello che fece di lui il re della peggiore malavita romana. La Banda della Magliana: che con Franco Giuseppucci, Il Negro (Il Libanese nella fiction), ha formato e guidato.
Da allora, però, Roma è cambiata: lei è davvero convinto che ci sia chi vuole morto un personaggio senza più potere?
Poi le racconterò quante volte, anche nel corso della mia seconda vita, ci hanno provato. Ma secondo lei Roma è proprio così cambiata? Qualche scemo mi ammazzerebbe solo per prestigio criminale.
Solo per il semplice fatto che lei era il boss della Banda della Magliana?
Non ero il boss.
Insomma, aveva molto potere sugli altri.
Non avevo nessuno sopra di me, ma non ero il capo. Eravamo in molti a decidere.
Quanta gente ha ammazzato?
Tanta. Troppa. Non voglio ricordare.
Chi l’ha ereditato il suo potere?
Un certo Massimo Carminati.
Lo conosce bene lei…
Sì, me lo sono portato dietro quando feci il primo attentato con i tubi innocenti. Un ragazzo serio.
È Carminati a volerla morto?
Anche, ma non solo lui. Nel corso del tempo ho ricevuto molti segnali. Carminati sicuramente è uno di quelli, poi ci sono gli apparati deviati. Quando, dopo la mia confessione, sono stato arrestato, mi hanno spedito a Spoleto, poi volevano mandarmi a Poggioreale. E lì era detenuto Carminati per il furto al caveau della Cassazione. Lo evitai per un soffio. Ma anche quando ero in Sudamerica, sempre in carcere e prima che collaborassi, mi misero in cella con un avvocato che aveva per sé, nella prigione, un appartamento. E sono certo che mi stavano per far fuori.
Lei fu arrestato dopo sei anni di latitanza per una telefonata a casa. La scoprirono così. La rifarebbe quella telefonata?
La feci. Non sono un fesso, sapevo che c’era la possibilità che venissi intercettato. Non avevo chiamato per cinque anni, ma era arrivato il momento. Non potevo vivere con quei pesi, con la droga e con l’alcol. Non mi consegnai, ma non feci nulla per sfuggire alla cattura. Sapevo del rischio, mettiamola così.
Perché decise di collaborare con la giustizia e fece arrestare i suoi ex compagni?
Non ero più protetto. E poi avevano ammazzato mio fratello, lo avrebbero fatto anche con me. Lo faranno, visto che lo Stato mi ha lasciato solo, senza più protezione. E le parla uno che ha un senso di rispetto per la giustizia. Ho collaborato proprio perché non avvenisse più niente di tutto quello che fu. Roma era il Far West.
Secondo lei esiste però una nuova Banda della Magliana?
Esiste Carminati. Che era freddo, lucido. Il più freddo e lucido di noi. E quello con più potere di attrazione. A ogni assoluzione il potere di Carminati è cresciuto. Ha avuto la fortuna di godere di protezioni dall’alto e di essere imputato nell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli insieme a Giulio Andreotti.
Ma lei dalla sua nuova vita e col nome protetto sapeva di Carminati?
Tutti sapevano. Tutti. Non c’era più sangue come allora, come ai tempi in cui la Banda crebbe, ma un altro tipo di potere, e tutto nelle mani di Carminati e dei suoi.
Li hanno arrestati tutti però?
Sì, sono in galera, ma tra pochi anni saranno tutti fuori. E non sono certo che altri non siano liberi.
Secondo lei Carminati uccise Pecorelli?
Non ho le prove. Ho elementi che mi fanno presupporre che fu lui. Non è un mistero che quell’omicidio nacque nel nostro ambiente, nella banda della Magliana. Ordinato da altri, noi lo eseguimmo
Lei era legato a Carminati. Il Cecato o Il Nero, come lo vogliamo chiamare?
Avevo rispetto. Ho messo esplosivi con lui. Era dei nostri, nonostante fosse molto diverso da noi. Comunque sul primo attentato al quale accennavo prima, durante la mia deposizione il nome di Carminati lo lasciai fuori. Ci sono arrivati i magistrati e allora cambiai la mia versione. Ma l’ho anche coperto.
Ci sono persone alle quali il suo ricordo è rimasto legato?
Oltre a mio fratello?
Si, oltre a lui. Parlo dei suoi compagni di malavita.
Franco Giuseppucci.
E Renatino De Pedis?
Anche lui. Ma poi iniziò a fare riferimento alla mafia di Pippo Calò. Era diverso, a modo suo, da noi. De Pedis amava un’altra vita, la bella vita. Pensava ai soldi e li metteva da parte. Agiva con altro spirito, è sempre stato amante dei poteri e della vita da nigth.
Anche lei era pieno di quattrini.
Io avevo la malattia del gioco d’azzardo, li bruciavo, i quattrini. De Pedis no. Non era come me. Ma eravamo legati, certo. Amici.
E’ stato scritto tutto sulla Banda della Magliana?
Una parte di storia. Ma non tutta. Io potrei continuare a parlare, ma a un certo punto mi sono fermato fino al punto in cui avevo le prove. Oltre non sono andato. Non potevo. Ma la storia della banda della Magliana è molto più complessa. E c’entra molto di più con la P2 rispetto a quanto è emerso. Lei tenga conto che ogni tanto il generale Santovito, l’ex capo del Sismi, mi faceva arrivare i saluti. Io non l’avevo neanche mai conosciuto. A un certo punto, non so se per la nostra capacità di uccidere e il controllo del territorio, ma eravamo rispettati dai poteri deviati e da una certa politica, allora molto influente. E se Mafia Capitale, come è stata ribattezzata, è emersa quando ormai tutti sapevano e non potevano fare a meno che esplodesse lo scandalo, qualcuno li aveva coperti. Carminati sapeva benissimo che lo avrebbero arrestato.
Lei parla ancora come un boss.
Sono uno che ha sempre letto i giornali. Tutti sapevano. Tutti conoscono le coperture di Carminati.
Perché lei è così certo che la vogliano morto?
Io non so tutto, ma so molto. Anche di quello che non è emerso. E non credo che sia solo la malavita in giro a volermi far fuori, ma anche alcuni apparati, un tempo servizi segreti, oggi non so più come si chiamano. Nella mia vita blindata mi sono fidato della polizia, certo, ma molto più della squadra mobile che non della Digos.
Però è lei che ha chiesto di uscire dal programma di protezione.
Sì, ma cinque anni fa e comunque non è andata esattamente così. Oggi mi lasciano fuori senza un centesimo in tasca. Vogliono che torni in strada. L’ultima volta mi hanno chiesto l’Iban. L’Iban? Come se io potessi avere un conto corrente. E quelli che guidano il programma protezione lo sanno molto bene. Ma scoppia Mafia Capitale e mi mandano fuori. E’ stata una manovra, non so voluta da chi. Un segnale a coloro che volevano parlare: guardate che fate la fine di Abbatino se collaborate, questo hanno voluto dire.
In Romanzo Criminale lei era Il Freddo. Hanno sbagliato gli sceneggiatori?
Non molto. Io ero quella cosa lì. Forse meno romanzata. Ma quello ero. Poi tutto sommato non ne esco male.
E’ vero che si iniettò il virus dell’Hiv per farsi ricoverare?
Sì, è vero. Nonostante certe cliniche romane fossero praticamente a nostra disposizione, tutti entravamo e uscivamo tutte le volte che volevamo. E tutti sapevano. Io mi iniettai il virus dell’Aids e finsi di non muovere più le gambe ero a Villa Gina. Poi mi sentì come in trappola come se mi si strigesse un cappio al collo. Così decisi di fuggire. Il giorno vivevo su una sedia a rotelle, la notte invece facevo ginnastica in un bagno di un metro per uno, perché non si atrofizzassero i muscoli.
Un romanzo criminale, appunto.
Era Roma in quegli anni. L’Italia di quegli anni. La Magliana.
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Roma, 1 mar (Adnkronos) - "Grazie Fulco per aver insegnato a intere generazioni la cura e la conservazione della natura. Fondatore del WWF, parlamentare, sempre attento a portare fuori dai recinti l'ambientalismo convinto che doveva vivere soprattutto nella società e nei comportamenti individuali e collettivo per cambiare anche la politica. In un mondo in grave crisi climatica la Sua saggezza e conoscenza divulgativa ci mancherà molto". Lo dice Paolo Cento, già parlamentare dei Verdi e direttore della rivista ambientalista 'Articolo 9'.
Roma, 1 mar (Adnkronos) - "Giorgia Meloni non ha nulla da dire sulle parole dell’inviato speciale di Trump?". Lo scrive sui social al deputato di Iv Maria Elena Boschi, rilanciando il colloquio di Paolo Zampolli con il Foglio.
Roma, 1 mar. (Adnkronos) - A sedici anni dall'ultima presenza di un Capo dello Stato, in quel caso Giorgio Napolitano, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, torna in Giappone per una visita ufficiale in programma da lunedì 3 a domenica 9 marzo. Un appuntamento che suggella una fase di svolta nei rapporti tra l'Italia e il Paese del Sol Levante, visto che l'entrata in vigore nel 2023 del Partenariato strategico e il successivo Piano di azione siglato tra i rispettivi Governi l'estate scorsa in occasione del G7 a Borgo Egnazia segnano l'avvio di un rapporto caratterizzato da un nuovo dinamismo, che si preannuncia foriero di conseguenze positive e di prospettive da esplorare, che vanno ad inserirsi in una già collaudata comunanza di vedute e di interessi sul piano politico ed economico.
Basti pensare all'attenzione sempre crescente dell'Italia per le problematiche del Sud-est asiatico, con l'intensificazione di un dialogo a livello Nato e tra Unione europea e Giappone, per il quale il partenariato con gli Stati Uniti rappresenta un pilastro fondamentale, anche per la stabilità dell'Indo-pacifico. Con la necessità per il Paese del Sol Levante di trovare un equilibrio nei rapporti con la Cina, tra tensioni di carattere geopolitico da governare e interessi commerciali da salvaguardare.
Le circa 150 nostre aziende che operano in Giappone e le circa 380 giapponesi che sono nel nostro Paese, il Business-Forum in programma a Roma il prossimo 13 maggio, con la partecipazione di circa 200 imprese nipponiche e italiane, sono invece la dimostrazione di quanto sia rilevante e in crescita la partnership economica, che oltre alla presenza italiana nei tradizionali settori del design, della moda e dell'agroalimentare vede aumentare la collaborazione sul piano industriale e tecnologico. Si inserisce proprio in questo contesto il progetto Gcap per il caccia di sesta generazione basato sulla collaborazione tra Italia, Giappone e Regno Unito.
Si svilupperà quindi lungo questa direttrice il programma della visita di Mattarella, con impegni di carattere istituzionale, economico e culturale. Lunedì 3 marzo alle 19 ora locale (8 ore avanti il fuso orario rispetto all'Italia dove quindi saranno le 11), il Capo dello Stato vedrà a Tokyo la comunità italiana. Poi martedì l'incontro con l'imperatore Naruhito e l'imperatrice Masako e i colloqui con gli speaker, rispettivamente, della Camera dei Rappresentanti e della Camera dei Consiglieri. Quindi il concerto del tenore Vittorio Grigolo, offerto dall'Italia alla presenza dei rappresentanti della Casa imperiale.
Mercoledì 5 alle 11 (le 3 di notte in Italia) è previsto un confronto del presidente della Repubblica con rappresentanti della Confindustria giapponese ed esponenti dell'imprenditoria italiana, mentre alle 18 Mattarella vedrà il premier giapponese, Shigeru Ishiba.
Nelle giornate di giovedì e venerdì il Capo dello Stato sarà invece a Kyoto, dove sono in programma appuntamenti di carattere artistico e culturale e l'incontro con i nostri connazionali. Particolarmente significativa, anche per i risvolti legati alla attuale e delicata situazione internazionale, l'ultima tappa a Hiroshima, prevista sabato 8 marzo, con la visita al Museo della Pace e l'incontro con l'Associazione dei sopravvissuti ai bombardamenti nucleari e con l'organizzazione Nihon Hidankyo, impegnata per l'abolizione delle armi nucleari e insignita lo scorso anno del Premio Nobel per la pace. Domenica 9 il rientro a Roma.
Roma, 1 mar (Adnkronos) - "Mentre la vigilanza resta bloccata dal ricatto della maggioranza, gli ascolti della Rai continuano a precipitare, soprattutto nel settore dell’informazione, dove assistiamo a una vera e propria desertificazione. Un tempo i programmi di approfondimento erano punti di riferimento, oggi vengono sistematicamente penalizzati da scelte di palinsesto incomprensibili". Lo dicono i parlamentari del M5s della commissione di Vigilanza Rai.
"Un esempio? Fiction di grande successo, capaci di catalizzare milioni di spettatori, vengono mandate in onda in diretta concorrenza con trasmissioni storiche d’informazione. È successo con Rocco Schiavone contro Chi l’ha visto?, e si ripete con Imma Tataranni opposta a Report -proseguono-. Chi ha interesse a sabotare l’informazione di qualità? Come se non bastasse, la Rai autorizza con leggerezza la partecipazione di suoi volti di punta sulle reti concorrenti, depotenziando i propri programmi".
"Domani sera, Stefano De Martino sarà ospite di Fabio Fazio: un conduttore che già raccoglie ottimi ascolti, ha bisogno di fare promozione sul Nove? Ma a chi serve davvero questa ospitata, a De Martino o a Fazio? È solo una coincidenza che entrambi abbiano lo stesso agente? Di certo, non si può pensare di premiare chi è responsabile di tutto questo affidandogli la supergestione dei palinsesti. Per salvare la Rai serve competenza, non amichettismo", concludono gli esponenti M5s.
Roma, 1 mar (Adnkronos) - "Tra l’invasore Putin e il bullo Trump, noi stiamo con Zelensky, con l’Ucraina e con l’Unione europea, ormai unico argine al neocolonialismo e al neo imperialismo di Usa e Russia. Per questo +Europa parteciperà alle piazze per l’Ucraina che si stanno organizzando in tutta Italia, comprese quelle di oggi a Milano davanti al consolato USA e di domani in piazza dei Mercanti, così come a Roma in Piazza Santi Apostoli sempre domani. Non possiamo più stare a guardare. È il momento che tutti coloro che credono nell’Europa Unita e nella democrazia si schierino dalla parte di Kiev, dell’Europa, dei diritti e della libertà”. Lo annuncia il segretario di Più Europa Riccardo Magi.
Roma, 1 mar (Adnkronos) - "Apprezzabile la manifestazione in favore dell’Ucraina, domani pomeriggio. Ridicolo però che venga da Carlo Calenda, che ha distrutto il progetto Stati Uniti d’Europa non aderendo alla lista e regalando posti al parlamento europeo ai sovranisti filo Putin". Lo scrive sui social il senatore di Iv Ivan Scalfarotto.
Roma, 1 mar (Adnkronos) - "Le immagini di ieri dallo Studio ovale hanno sconvolto il mondo. Siamo in una situazione internazionale senza precedenti e il comunicato della premier Meloni, giunto ben ultimo dopo altri leader europei, non fa chiarezza sulla posizione dell’Italia". Lo dicono Chiara Braga e Francesco Boccia, capigruppo Pd alla Camera e al Senato.
"Meloni deve spiegare al paese se ha intenzione di abbandonare l’Ucraina al suo destino, se pensa di distinguersi dal resto dell’Europa e come intende rispondere all’arroganza degli Stati Uniti e di Trump. Non può continuare a nascondersi e a scansare la questione di fondo: dove colloca l’Italia nel mondo in questo drammatico frangente. Basta video e comunicazioni tardive, venga in Parlamento già prima del vertice europeo straordinario del 6 marzo", aggiungono Braga e Boccia.