I conflitti che si nascondono dietro la maschera della religione sono un affare molto diffuso nei secoli di arretratezza di pensiero delle società. A dire queste parole non è stato un rivoluzionario chavista, ma Ibn Khaldoun, un filosofo arabo, nel 1406.
Per il mondo arabo, alla luce dei conflitti che da circa cinque anni devastano interi paesi provocando stragi, morte e terrore, cancellando i confini nazionali in alcune aree e minacciando direttamente la nostra Europa, l’eterno dilemma del confine che bisogna tracciare tra Stato e religione, assume oggi una valenza essenziale.
Conflitti esterni, che si traducono in terrorismo e guerra agli altri, e conflitti interni, che colpiscono gli stessi musulmani e mettono generazioni arabe intere di fronte alla scelta tra cittadinanza e fede, tra laicità e religione, tra identità e modernità.
Per l’Occidente, i confini tra Stato e Religione sono più chiari, anche se, come nel nostro paese, il problema persiste ancora. Il vero problema è che nei paesi arabi mancano proprio i modelli di Stato laico da seguire.
La relazione tra Islam e politica è stata sempre oggetto di grande dibattito e discussione, tra chi la considera una condizione naturale, e chi la definisce una controversia. Questa discussione non è recente ma risale addirittura ai tempi del Profeta, quando la nuova religione doveva fare i conti con l’espansione del Califfato oltre i confini della Medina.
Tuttavia, l’esperienza politica di uno Stato islamico, teocratico nella vocazione tra giustizia sociale e morale, e terreno nel meccanismo tra potere, gestione ed espansione dei confini, hanno spesso spinto le ideologie salafite e wahabite, nella loro incapacità di distinguere tra queste condizioni sommate, a tentare di replicare questa esperienza alla lettera, ritornando ai tempi del Profeta, invece di riflettere lo spirito del Profeta e la sostanza della fede nella quotidianità.
In questo contesto Daash, che non è altro che l’acronimo in arabo del cosiddetto Stato Islamico, ispirato alle ideologie più radicali, ha usurpato in qualche modo il concetto dell’Islam politico, presentando un’immagine distorta dell’Islam, pronta ad essere applicata, lasciando agli altri musulmani semplici teorie e visioni generiche, senza esempi concreti. La differenza tra i due è che gli ultimi portano un’idea corretta della religione senza applicazione, mentre gli altri un’idea distorta applicata fino in fondo. La sana pratica della propria religione trasforma i valori in una vita praticata, mentre la religione distorta trasforma dogmi e ideologie in odio, violenza e terrorismo.
Negli ultimi anni l’Islam politico, anche quello promosso dall’Occidente come moderato, sostenuto da Qatar e Turchia, ha accumulato un fallimento dietro l’altro, dopo essere stato il primo beneficiario delle rivolte nei paesi arabi. Il colpo più duro è stato, senza dubbio, quello del 30 giugno 2013, con la caduto del presidente egiziano Morsi in Egitto, che ha messo fine ai sogni del Movimento dei Fratelli musulmani di prendere il potere. In tal senso, un rapporto finanziato dal governo britannico e diffuso soltanto questa settimana, punta il dito direttamente contro i Fratelli Musulmani accusandoli di legami con l’estremismo islamico.
Mentre in alcuni paesi come la Tunisia la sconfitta del partito islamista è avvenuta per via democratica attraverso il voto, nella maggior parte dei paesi arabi è ancora in atto lo scontro tra le varie forze tra il modello di monarchia assoluta e partiti islamici che si propongono come loro alternativa.
Il secondo colpo è stato inferto quando i gruppi islamici estremisti hanno rinnegato i loro sponsor iniziali, abbandonando la loro linea, definita troppo morbida. Inizia così l’ascesa del jihad violento come unica strada per realizzare uno Stato Islamico, dichiarato nel cuore del Medio Oriente, con le conseguenze disastrose che hanno acceso i conflitti dallo Yemen alla Libia. Ciò ha provocato la minaccia del terrorismo all’Occidente, a partire dalla Siria, dove Al Raqqa è stata dichiarata la capitale del fantomatico Stato, con il paese trasformato in una polveriera, dove la maggior parte dei gruppi di matrice islamica, armati e sostenuti anche dall’Occidente, e chiamati moderati, sono oggi confluiti nelle due filiali di Al Qaeda: Is e Al Nusra.
In queste ore la Giordania, incaricata dalla comunità internazionale, ha stilato una lista nera delle organizzazioni terroristiche, inserendo ben 160 gruppi armati, che combattono tuttora in Siria, tra quelli da escludere da qualsiasi processo di pace nel paese. Alcuni paesi del Golfo vedono in questi gruppi jihadisti una minaccia anche alla loro stessa esistenza. Monarchie e governi autoproclamati unici depositari della fede, accusati dall’Islam politico di proporre solo all’apparenza la Sharia (legge islamica), mentre godono della ricchezza e delle risorse con un potere assoluto, che esclude i cittadini privandoli di qualsiasi tipo di partecipazione, con un modello di stato anacronistico, senza costituzione, voto ed elezioni.
Stato Islamico o Stati Islamici? Un momento cruciale per i paesi arabi e per l’Islam, tirato in ballo per interesse, in quanto la questione centrale è solo il potere e chi lo detiene. Senza la separazione tra stato e religione, lo scontro è tra questi due modelli di Stato, ognuno di loro si propone come l’unica strada, ecco perché altre minoranze etnico religiose, come in Siria e Iraq, potrebbero essere un’ostacolo a questi modelli, mentre la cittadinanza basata sulla giustizia, rispetto e pari diritti, sarebbero in realtà il terzo modello che manca all’appello. In ogni caso la Democrazia in stile occidentale resta per tutte e due i modelli il vero nemico, da evitare e da combattere.