Durissime le motivazioni dei giudici che hanno assolto l'ex prima cittadina di Isola di Capo Rizzuto (Crotone), arrestata due anni fa per voto di scambio politico-mafioso. "Elementi inconsistenti o contrari all'ipotesi accusatoria". Trascritta male intercettazione del boss Arena: non "mille voti" all'esponente del centrosinistra, ma sostegno a un altro candidato. La donna era impegnata nell'associazionismo per la legalità
Dopo l’assoluzione di settembre 2015 arrivano le motivazioni della sentenza del processo “Insula” contro la cosca Arena. E cadono le accuse rivolte dalla Dda di Catanzaro all’ex sindaco antimafia di Isola Capo Rizzuto, arrestata due anni fa per voto di scambio politico-mafioso, turbativa d’asta e abuso d’ufficio.
Con 104 pagine di sentenza, il Tribunale di Crotone restituisce la dignità a Carolina Girasole e al marito Franco Pugliese finiti nell’inchiesta a causa di un bando pubblico per la raccolta dei finocchi sui terreni confiscati alla cosca Arena. Un bando che, secondo la Procura, sarebbe servito a recare un vantaggio alla blasonata famiglia mafiosa del crotonese. Per il Tribunale, invece, il “fatto si è rivelato del tutto infondato, in quanto campato su elementi (quelli offerti dalla pubblica accusa e a prescindere da quelli contrari offerti dalla difesa) inconsistenti, se non addirittura contrari all’ipotesi accusatoria”.
Leggendo le motivazioni della sentenza, infatti, emerge che Girasole, eletta in una coalizione di centrosinistra, non solo non era vicina alla cosca Arena, ma la sua azione politica-amministrativa era indirizzata ad osteggiare la “famiglia” di Isola Capo Rizzuto. Punto per punto, il Tribunale smonta il castello accusatorio partendo dalla intercettazioni, come quella in cui il boss Pasquale Arena avrebbe riferito dei mille “voti” dati alla Girasole.
“Pasquale Arena – scrivono i giudici – parla non di mille voti (come trascritto nei brogliacci) ma di 350 volte in cui si sarebbe adoperato, sostenendo la candidatura per l’elezione non della Girasole, ma di altro personaggio politico”. Quelle conversazioni, inoltre, che dovevano dimostrare l’accusa nei confronti della Girasole in realtà “rivelano una macchinazione degli Arena, uno stratagemma per farla cadere (proprio perché contrariati dall’azione politica della Girasole)”.
“Non solo il contenuto delle conversazioni captate è equivoco – scrivono i giudici – Ma neppure le prove dichiarative assunte in dibattimento sono tali da suffragare l’assunto accusatorio”.
In sostanza, sarebbe stata “necessaria un’operazione di rigorosa ‘controverifica‘” che non c’è stata. Così come non ci sono stati, ascoltando le testimonianze dei finanzieri durante il processo “contatti diretti tra i coniugi Girasole-Pugliese ed esponenti della famiglia Arena”. Nulla di nulla insomma. Secondo il Tribunale, che ha dato ragione agli avvocati Marcello e Mario Bombardiere, il processo ha dimostrato “l’assenza di qualsivoglia collegamento tra la Girasole e il marito e alcuno degli imputati avente a oggetto una trattativa di voti da scambiare contro altra utilità”.
È emersa, invece, l’inimicizia manifestata dagli Arena nei confronti della Girasole “proprio in quanto da loro percepita come fautrice di una politica contraria ai loro interessi”. Una parte della sentenza è stata dedicata, infine, alla testimonianza di don Luigi Ciotti, il fondatore di Libera che rispondendo alle domande del pm e della difesa ha ricordato il “clima ostile” alla Girasole, “colpevole” di aver collaborato con la sua associazione antimafia per la gestione dei terreni confiscati alla ‘ndrangheta.