Juan Manuel Roca, sociologo dell'Università Complutense di Madrid, analizza la sconfitta del Psoe che "è una versione alla spagnola della terza via di Tony Blair o di Jospin: ideologicamente vecchia e debole". E del partito di Pablo Iglesias dice: "Se si tornasse a votare e riuscisse a scendere a patti con Izquierda Unida, potrebbe ottenere un milione di voti in più"
Salvate il soldato Sánchez. Il refrain viaggia di bocca in bocca già da qualche giorno. Il socialismo spagnolo sprofonda, vittima di una triplice crisi: di leader, di programma, di strategia. Arrivare quarto a Madrid fa più male di quel pugno in faccia che ha colpito Rajoy. Ottenere solo un punto e mezzo in più rispetto ai nuovi volti di Podemos, poi, è stata proprio una disfatta. “Il Psoe vive una grave crisi interna da molti anni”, spiega a ilfattoquotidiano.it Juan Manuel Roca, politologo e sociologo dell’Università Complutense di Madrid, nonché autore del libro Perdidos. España sin pulso y sin rumbo (Perduti. Spagna senza polso né direzione).
“Fa parte di una sinistra europea che non ha saputo resistere al neoliberalismo. È una versione alla spagnola della terza via di Tony Blair o di Jospin: ideologicamente vecchia e debole e profondamente interna al sistema”. Forse per questo per l’accademico il partito di Pablo Iglesias “è il germe di una futura sinistra radicale”, una forza che domani potrebbe superare i socialisti. “Se si tornasse a votare e Podemos riuscisse a scendere a patti con Izquierda Unida, potrebbe ottenere un milione di voti in più e una forza di negoziazione nettamente maggiore”.
Con 5,2 milioni di voti, il partito di Iglesias ottiene il doppio del miglior risultato conquistato da IU: nel 1996 con 2,6 milioni di voti. E in questa tornata elettorale, se entrambe le forze si fossero candidate insieme, avrebbero ottenuto circa 570mila preferenze in più rispetto al partito capeggiato da Pedro Sánchez. Insomma la nuova sinistra spagnola potrebbe presto tingersi di viola.
D’altronde anche Juan Carlos Monedero, fondatore politico di Podemos, ricordava a inizio campagna che la gestione della sinistra del XX secolo “è stata pessima” e che serve “reinventarla”.
Se i socialisti si svegliano un giorno con l’anima centrista liberale e un altro promettendo di mettere fine al lavoro legislativo dei popolari, Podemos è però ancora una forza “in via di consolidamento”.
“Non ha un programma chiaro, non è ancora omogeneo – in alcune regioni è coalizzato con forze nazionaliste – ed è molto giovane”, afferma il politologo “ma in un anno e mezzo è riuscito quasi a soffiare il posto ad un partito storico come quello socialista. Non è un dato da poco”. Il movimento viola di Pablo Iglesias entra in Parlamento con forza, e lo fa dalla porta principale. Scombina gli equilibri, con 69 seggi e un programma radicale che sembra quasi non accettare compromessi, “ma questo non vuol dire che possa condizionare la politica nazionale. Almeno non ancora”, ribadisce Roca.
Il momento è delicato, Pablo Iglesias potrebbe approfittare della crisi storica del Psoe e di quella in seno alla sinistra di Alberto Garzón, ma è un processo che deve verificarsi e che dipende molto da come “Podemos giocherà le sue carte”. Secondo il politologo le inquietudini sono dietro l’angolo: “Con l’intenzione di sgonfiare il Psoe, il partito sembra avvicinarsi alla socialdemocrazia. Questo crea certe tensioni interne. Ma è chiaro che il Paese ha votato per la rottura del duopolio dei partiti, e Podemos ha approfittato di questo per sottrarre voti al Psoe“.
I giorni di negoziazione sono già aperti. Iglesias potrebbe essere costretto a scendere a patti coi socialisti, proprio quelli della vecchia casta. Eppure parla di punti di partenza non negoziabili. “Forse sta già pensando alla primavera”, incalza il professore Juan Manuel Roca. Difficile saperlo.
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