Vincenzo Pavia, cognato del mandante Belfiore, indicò Rocco Schirripa come uno dei partecipanti all'agguato e parlò molto della zona grigia. Ma non venne creduto
Rocco Schirripa, panettiere calabrese da decenni residente a Torino, pluripregiudicato, sarebbe lui per la Procura di Milano uno dei killer di Bruno Caccia, Procuratore Capo della Repubblica di Torino, freddato a colpi di pistola sotto casa la sera del 26 giugno del 1983. Uno degli omicidi più eclatanti e misteriosi d’Italia, per i quali i familiari avevano da tre anni chiesto la riapertura delle indagini e di cui fino ad oggi si conosceva solo il mandante, Domenico Belfiore, boss calabrese condannato all’ergastolo nel 1992 e oggi ai domiciliari per motivi di salute. Le ricostruzioni dei pm Ilda Boccasini e Marcello Tatangelo, che hanno disposto l’arresto del presunto killer, ripercorrono una vecchia pista d’indagine che era stata archiviata. Già nel 1995, Vincenzo Pavia, cognato di Domenico Belfiore, aveva indicato Schirripa come uno dei partecipanti all’agguato.
Pavia (e non Schirripa) era stato individuato nelle prime fasi delle indagini per l’omicidio come l’uomo corrispondente all’identikit e proprio lui, nel 1996, nel carcere di Paliano, aveva raccontato ai magistrati Marcello Maddalena e Sandro Ausiello quanto sapeva sull’omicidio. “Mi sono deciso a raccontare tutto quello che so – dice Pavia –. Mi induco a questo passo anche perché spintovi da mia moglie la quale ha deciso di voler interrompere anche lei ogni rapporto con il mondo in cui abbiamo vissuto ed a fare una scelta definitiva di vita nell’ambito della legalità: per lei e per me”. La moglie di Pavia è Maria, sorella del boss Belfiore.
Pavia racconta di aver partecipato ai sopralluoghi per l’organizzazione dell’agguato e indica i nomi del commando. A suo dire a partecipare all’esecuzione sono Renato Angeli, Giuseppe Belfiore ( il fratello di Domenico, condannato come mandante dell’omicidio), Tommaso De Pace e Rocco Schirripa, lo stesso uomo che oggi è stato arrestato dalla Procura di Milano. “Io personalmente non ho partecipato all’omicidio del procuratore Bruno Caccia ma che so che gli esecutori materiali dell’omicidio sono stati Angeli Renato, Belfiore Giuseppe, De Pace Tommaso e Rocco ‘Barca’ di cui non dire esattamente il cognome ma che potrebbe in effetti essere lo Schirripa Rocco” si legge nei verbali dell’interrogatorio. “E’ vero anche che io ebbi a prendere parte ed ad assistere a delle discussioni in ordine a tale omicidio e ciò perché, data la mia relazione con Belfiore Maria, io frequentavo l’ambiente dei fratelli Belfiore nell’ambito del quale l’omicidio maturò. Posso anche dire di avere, molti mesi prima dell’omicidio partecipato anche sicuramente almeno due volte a dei sopralluoghi diretti ad individuare il dr. Caccia ed a studiarne le abitudini, gli spostamenti eccetera”. E aggiunge: “io ho appreso singolarmente da ciascuno degli esecutori materiali che a commettere il delitto erano stati loro e posso anche aggiungere che il Belfiore Giuseppe mi disse di aver sparato personalmente lui alla testa del procuratore”.
Pavia dice molto di più e indica la zona grigia in cui matura l’omicidio, puntando il dito anche contro Franco Gonella, imprenditore e anima finanziaria del gruppo. “Chi sicuramente ne sa tutto è il Gonella con cui mi dichiaro disponibile ad effettuare un confronto pensando che possa essere l’unico a dire tutto al riguardo”. La versione di Vincenzo Pavia vent’anni fa non arrivò però a buon fine. Nella sua ricostruzione i magistrati trovarono un’incongruenza: Renato Angeli, che lui accusa di fare parte del gruppo omicida, al momento del fatto criminale era infatti dietro le sbarre. La tesi esposta da Pavia fu così ritenuta inattendibile e l’indagine archiviata.
Nei corridoi della Procura di Torino si vociferava però da tempo circa la possibilità che fosse lo stesso Pavia il quarto uomo del commando e che indicando il nome di Angeli avesse voluto nascondere sé stesso. Rocco Schirripa non è nuovo alle cronache torinesi. Su di lui, negli ultimi anni, i magistrati del capoluogo piemontese hanno più volte puntato i riflettori. Nel 2011, nella maxi operazione contro la ’ndrangheta in provincia di Torino denominata “Minotauro”, viene ritenuto elemento del locale di Moncalieri, affiliato con la dote di trequartino. Per questa imputazione decide di patteggiare e gli viene comminata una pena di un anno e 8 mesi per 416 bis.
La Procura torinese poco tempo dopo lo ha accusato di aver favorito la latitanza di Giorgio De Masi, detto “u mangianesi”, ritenuto dalla Procura di Reggio Calabria capo società di Gioiosa Jonica. Dopo l’esecuzione dell’operazione Crimine di Reggio, De Masi si era reso latitante e per sfuggire alla giustizia aveva deciso di rifugiarsi a Torino dove viene poi arrestato. Nelle maglie dell’operazione San Giorgio della Procura di Torino, a Schirripa viene attribuito il ruolo di averne favorito la latitanza. Accusa per la quale ha patteggiato.
L’esito giudiziario sull’omicidio di Caccia non aveva mai convinto fino in fondo la famiglia che, negli ultimi tre anni, ha in tutti i modi cercato di far riaprire le indagini affidando il mandato all’Avvocato Fabio Repici.
L’avvocato della famiglia Caccia, al telefono, esprime piena soddisfazione per l’arresto, dichiarando: “Questo arresto dimostra in modo chiaro che avevamo ragione a sostenere che esiste un intollerabile buco nero attorno all’omicidio Caccia. Negli ultimi anni abbiamo sollecitato in ogni modo le autorità giudiziarie a riaprire il caso. Non posso commentare nel merito l’indagine, non avendo ancora le carte, ma ribadisco la soddisfazione perché la famiglia potrà partecipare ad un processo e dare il proprio contributo per la scoperta della verità”.