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Spagna, “Podemos? Impossibile non tradire le origini”. Gli anti-casta alla prova delle istituzioni

Andrés Villena Oliver, sociologo e tra i rappresentanti di riferimento del movimento "15 de mayo" (da cui è nato il partito di Pablo Iglesias), difende le scelte di "mediazione" e parla di "successo elettorale" dopo il voto del 20 dicembre: "Sì ai compromessi ma a rigide condizioni. Quella del leader è una strategia per entrare nel sistema. La nostra è un'esperienza unica. In Italia? Il M5s non ha saputo dare un'alternativa politica"

“Se Podemos vuole davvero cambiare le cose, è impossibile che non tradisca i principi originari degli Indignados. I compromessi di Pablo Iglesias? Strategia per entrare nelle istituzioni”. Il sociologo Andrés Villena Oliver è stato uno dei leader del “15 de Mayo” (15-M), il movimento di “indignati” che nel 2011 ha riempito le piazze della Spagna per chiedere più partecipazione e che ha poi ispirato la nascita del partito guidato da Iglesias. Era nelle strade con i primi attivisti di quel fenomeno che nel voto di domenica 20 dicembre ha spezzato l’asse del bipartitismo tradizionale. Oggi Villena insegna all’università di Siviglia e, pur restando voce critica da dentro, difende la dirigenza di Podemos: “Le mediazioni ci saranno, ma solo a rigide condizioni”. Parlare della necessità di un “compromesso storico”, andare in televisione e pulire il linguaggio dai riferimenti di sinistra per conquistare l’elettorato di centro, secondo il sociologo, non è da “traditori”: “I principi originari da soli non bastano e se si rispettano al 100 per cento non si riesce a fare niente di concreto. L’unico modo per evitare il tradimento è quello di avere un ‘Podemos’ forte in parlamento e contemporaneamente la rinascita del movimento nelle piazze. La democrazia non si fa solo in Aula”. Villena nel 2011 è stato invitato all’Unesco a Parigi a parlare, da dentro le istituzioni, di una realtà politica che rispetta le regole ma che chiede la rivoluzione. Oggi che ha visto le varie evoluzioni del fenomeno, parla comunque di successo: “E’ vero, i cittadini scegliendo Rajoy hanno votato ancora per la stabilità, ma in ogni caso non avremmo mai pensato di poter aspirare a superare la soglia dei 40 deputati. E’ l’inizio di un processo”. Che, appunto, se non si fosse “sporcato” sarebbe rimasto legato all’utopia. Secondo Villena quello che è successo in Spagna è qualcosa di unico e difficile da comparare ad altre esperienze europee: “E’ più pragmatico rispetto alla Grecia dove abbiamo visto le difficoltà dopo le buone intenzioni. E sicuramente è diverso dall’Italia. Il Movimento 5 Stelle non ha offerto un’alternativa politica”.

Podemos può festeggiare dopo i risultati elettorali?
E’ la terza forza in Parlamento: possiamo dire che è stata la sorpresa delle elezioni in Spagna. 69 deputati è un risultato inaspettato. La miglior performance di un partito di estrema sinistra, quello comunista, è stata nel 1993. Ma non ebbe il tempo e la forza di essere una minaccia per il sistema tradizionale. Quest’anno alcune previsioni parlavano di circa 40 deputati per Podemos. Io credo che alla fine molti di quelli che sostenevano il voto anti-austerity abbiano optato per il voto utile per i socialisti ed è finita comunque con una differenza del 2 per cento tra i due partiti. Una sorpresa.

Ma non è riuscito a scalzare i socialisti.
Nella politica spagnola i partiti tradizionali nati nell’epoca post dittatura dominano la scena e da quando sono al potere hanno promosso politiche per la ripresa economica. Hanno una grande base di consenso ed è difficile che perdano voti: i loro elettori sono fortemente fidelizzati e anche questa volta hanno dato priorità alla stabilità. Il fatto che ci sia una nuova forze elettorale che in meno di 45 anni ha scelto una terza opzione è un fenomeno rilevante. E’ il segno che i giovani cercano nuovi attori politici per cambiare il sistema.

Lei era tra i leader degli Indignados, che fine ha fatto quell’esperienza politica? C’entra ancora con Podemos?
A ottobre 2011 sono stato invitato dall’Unesco a Parigi per parlare della mia esperienza nel movimento “15 de mayo”: venivo da tre mesi di attivismo nelle piazze della Spagna. In quel periodo in tanti ci dicevano “basta protestare per tutto, fate un partito”. Lì ho cercato di parlare delle mie idee rispettando la tradizione delle istituzioni per cambiare le cose dall’interno. Podemos cerca di fare lo stesso: non è 100 per cento il partito degli Indignados ed è legato a una élite di professori che ne forma la dirigenza, ma è l’inizio di un processo a suo modo rivoluzionario. Se non lo accettiamo restiamo vincolati alle utopie.

Iglesias ha detto che serve un “compromesso storico”. E’ una proposta da Indignados?
Pablo Iglesias non ha sottomesso lo spirito degli Indignados, ma ha capito che in un qualche modo doveva partecipare al sistema tradizionale. Ora sta guidando il gruppo verso la nascita di un tradizionale partito socialdemocratico, non liberale come quello di Blair. Sarà un partito critico, ma capace di partecipare in toto al gioco politico. All’inizio c’è stata delusione perché il movimento è stato assorbito da questa formazione. Poi però nella pratica siamo stati smentiti: a Madrid c’è una coalizione di governo tra Podemos e diversi movimenti che sta riducendo il debito senza toccare le spese del welfare. E’ un buon esperimento a cui guardare. Quando entri nell’agone elettorale, devi cercare di attirare i voti del centro: così le idee degli inizi sono state sapientemente “moderate” in modo da sembrare più responsabili. E’ un tentativo di diventare qualcosa di molto simile rispetto a quello che si sta combattendo.

E questo non si chiama “tradimento”?
E’ impossibile non tradire le origini. Se si vogliono davvero cambiare le cose, bisogna confrontarsi con le istituzioni, rendersi conto che ad esempio si dovrà andare in tv o rispettare i vincoli europei. I principi originari da soli non bastano e se si rispettano al 100 per cento non si riesce a fare niente di concreto. L’unico modo per evitare il tradimento dei principi degli Indignados è quello di avere un Podemos forte in parlamento e la rinascita del movimento nelle piazze. Significa creare una rete nella società civile, dalle associazioni ai sindacati. Se lasci tutto al partito, allora ti tradirà. Ma la popolazione di sinistra in Spagna deve capire che la democrazia non è solo in Parlamento: è sul lavoro, nel proprio quartiere, in chiesa. E non puoi aspettarti che i dirigenti facciano tutto.

Come si può mediare senza “snaturarsi”?
Accettando i compromessi solo al prezzo di alcune condizioni. Podemos ha moderato il discorso per entrare nelle istituzioni, ma ora apparirà molto rigido. Ad esempio ai socialisti ha già detto che prima di qualsiasi alleanza dovranno accettare che si faccia il referendum per l’indipendenza della Catalogna, una delle promesse elettorali.

Perché è stato ritenuto necessario cambiare il discorso politico?
Podemos ha dovuto far fronte a molti attacchi. Iglesias è furbo ed è un buon stratega: ha deciso di cambiare il discorso per poter entrare nel sistema. Io sono sempre stato molto critico, ma credo che sia l’unico modo per partecipare. Non so cosa farebbe se fosse al potere. Lo abbiamo visto in Grecia: c’erano le migliori intenzioni, ma non si sono realizzate. La buona notizia per gli elettori critici è che un nuovo sistema di check and balance entrerà in Parlamento e che i conservatori dovranno far fronte a rigidi criteri di trasparenza.

Molti accusano il partito di essere già diventato moderato.
Iglesias e i suoi hanno guadagnato molto consenso grazie alle ultime apparizioni in televisione, ma per farlo hanno dovuto comportarsi come attori. Non sarei preoccupato dell’immagine “moderata”: faceva parte del gioco per la campagna elettorale. Alla fine ci sarà un mix tra lo spirito tradizionale e le idee degli Indignados. Il risultato è una combinazione tra nuova e vecchia politica. Io non direi che è stato tradito lo spirito degli inizi: è impossibile entrare nel sistema e comportarsi come un movimento.

Podemos è ancora di sinistra?
I dirigenti hanno fatto un grosso sforzo per non presentarsi come tali, anche se tutti vengono da una militanza nel partito comunista tradizionale. Hanno visto che quell’esperienza non ha funzionato e quindi hanno cambiato il linguaggio per dire le stesse cose. Usano un nuovo modo di parlare “populista”: non dicono “sinistra” o “destra”, ma che c’è una “maggioranza” sfruttata da una “minoranza”. Molti di loro vengono dal mondo accademico: è come se fosse un esperimento sociologico. Ci mostrano come il discorso comunista può governare il Paese.

E’ un’esperienza unica in Europa?
In Spagna abbiamo visto un elettorato giovane che vota per partiti che cambiano il sistema e un elettorato “vecchio” che resta ancorato a quelli tradizionali. Per ora non credo ci sarà contaminazione in altre zone d’Europa. In Italia, almeno stando a quello che vediamo da qui, il Movimento 5 Stelle non ha saputo offrire un’alternativa politica. E’ vero che Podemos ha reso il suo discorso più moderato, ma aveva un’alternativa da offrire e i principi erano chiari. Per questo può fare compromessi senza snaturarsi. Non è perfetto, ma niente è perfetto in politica. Come del resto nella vita.