Secondo gli ispettori di via Nazionale, nonostante l'impegno preso, a maggio 2014 gli emolumenti del presidente Lorenzo Rosi e degli allora vice Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi non sono mai stati ridotti. Inoltre tra il 2013 e il 2014 sono stati spesi 15 milioni di euro per i compensi. Nonostante le casse fossero in rosso
Una gestione “parallela”. Stipendi dei dirigenti mai ridotti nonostante gli impegni. Buonuscite milionarie. Raffica di compensi ai consulenti e addirittura le spese legali pagate dalla Banca all’ex presidente Giuseppe Fornasari, accusato di ostacolo alla vigilanza. E’ questo il quadro ricostruito da Bankitalia che accusa i componenti del cda in carica dal 4 maggio 2014 all’11 febbraio 2015 di non aver badato a spese nonostante i conti in rosso. Adesso dovranno rispondere sia ai magistrati sia a Palazzo Koch che ha già trasmesso le contestazioni ai consiglieri: il presidente Lorenzo Rosi e i vice Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi, padre del ministro delle Riforme Maria Elena. Come riportano Corriere della Sera e Messaggero.
Da un’altra ispezione (novembre 2014 – febbraio 2015 la terza da parte di Bankitalia), di cui dà conto Repubblica, emerge il ruolo della “Commissione consiliare informale“. L’organo nasce dopo il cambio del consiglio di amministrazione nel maggio 2014. I suoi componenti sono: Rosi, Berni, Boschi e i consiglieri Santoanastaso, Nataloni e Salini. Che, ricostruiscono gli ispettori, si riuniscono tra loro, discutono e infine chiedono al cda di mettere in atto le loro decisioni. Avviene, ad esempio, nel caso della fusione con la Popolare di Vicenza. La Commissione informale decide di non dare il via libera, ma senza consultare i soci. Tanto che Bankitalia parla di processo decisionale “poco trasparente“.
Ma i comitati ristretti non erano certo una novità in Banca Etruria. Durante la presidenza di Fornasari esisteva l’Alta direzione. Identico il modus operandi, ricostruito ancora da Repubblica. I membri si riunivano pochi minuti prima dell’inizio del cda e si presentavano in consiglio dicendo che non potevano presentare i documenti relativi al “consuntivo trimestrale, l’informativa sui rischi, la revisione del budget e del piano industriale, nonché tutte le proposte di affidamento”. Scrivono gli ispettori nella seconda relazione: “Il cda ha sostanzialmente abdicato al proprio ruolo, lasciando ampia discrezionalità all’Alta commissione composta dal direttore generale Luca Bronchi e dall’alta dirigenza munita di poteri delegati”. Ma da parte del cda non c’era nessuna reazione né la benché minima protesta. “Tale prassi – scrivono gli ispettori – non è mai stata oggetto di rilievi degli amministratori”.
Un capitolo a parte nelle indagini di Palazzo Koch riguarda le spese e i costi. Ad esempio, gli stipendi dei vertici. Il 22 maggio 2014, a diciotto giorni dalla nomina, il consiglio di amministrazione dà il via libera con una delibera per ridurre del 32,5% i compensi del presidente Rosi e del 20% quelli di Berni e Boschi, assicurando a Bankitalia “un impegno di discontinuità con il passato”. E invece, niente. Gli emolumenti rimangono gli stessi. Anche questo adesso è materia di contestazione. Per gli ispettori, infatti, non è stato rispettato “l’intento di discontinuità” annunciato. Non solo. Perché secondo via Nazionale, gli stessi vertici non hanno compiuto “interventi idonei a ristabilire l’equilibrio reddituale del gruppo”. Misure che vengono “deliberate tardivamente, solo il 22 dicembre 2014 e il 9 gennaio 2015”.
Ma la lente di Bankitalia è puntata anche sulla pioggia di consulenze e addirittura sui presunti favori personali. Come nel caso dell’ex presidente Giuseppe Fornasari, accusato dai magistrati di Arezzo di ostacolo alla vigilanza. L’ex numero uno rischia il processo assieme ad altri due manager: il procuratore Roberto Rossi ha appena chiuso le indagini. Secondo la contestazione degli ispettori, Banca Etruria gli avrebbe pagato le spese legali senza prevedere un’eventuale rivalsa, come ricostruisce il Messaggero. Poi ci sono i compensi ai consulenti esterni: 15 milioni di euro tra il 2013 e il 2014. Sono finiti nel mirino soprattutto i contratti riconducibili all’ex direttore generale Luca Bronchi, accusato di aver “firmato delibere oltre i suoi poteri; pagato prestazioni non contrattualizzate; assegnato gli stessi incarichi a professionisti diversi; modificato le ‘voci’ di spesa”.
L’attenzione degli ispettori è ancora focalizzata su Bronchi quando si parla di liquidazioni fuori controllo. Il compenso che nel giugno 2014 il cda gli assegna è di 1,2 milioni di euro “nonostante il grave deterioramento della banca e decide di non contestargli responsabilità specifiche”.