Secondo le indagini il padrino latitante era il vero proprietario dell'intero patrimonio intestato ad Antonino e Raffaele Spallino, imprenditori attivi nei settori della produzione di energia elettrica, della raccolta di rifiuti, della ristorazione e dell'edilizia
Dodici aziende, trentaquattro immobili, ventotto conti correnti e cinque mezzi di trasporto, per un valore totale di dieci milioni di euro. Sono i numeri dell’ultima operazione antimafia che ha reso un po’ più povero Matteo Messina Denaro, l’ultima primula rossa di Cosa nostra. Secondo le indagini della procura di Palermo e dei carabinieri del Ros, infatti, il padrino di Castelvetrano era il vero proprietario dell’intero patrimonio intestato ad Antonino e Raffaele Spallino, imprenditori attivi nei settori della produzione di energia elettrica, della raccolta di rifiuti, della ristorazione e dell’edilizia. Era un vero e proprio tesoretto quello accumulato dai due imprenditori, un patrimonio che, però, secondo le indagini era di totale pertinenza di Messina Denaro, l’ultimo grande latitante di Cosa nostra. Antonino e Raffaele Spallino, infatti, erano finiti indagati per intestazione fittizia dei beni (indagine poi finita in prescrizione), nell’ambito dell’operazione Mandamento, che nel 2012 aveva portato all’arresto dei gotha di Cosa nostra a Castelvetrano.
Secondo quanto emerso dalle indagini i due Spallino avevano acquisito il ramo d’azienda della società Ecol Sicula, attiva nel settore dello smaltimento rifiuti, di proprietà di un loro parente, Antonino Nastasi, poi condannato all’ergastolo. Tramite altre due società, poi, gli Spallino avevano realizzato un impianto fotovoltaico a Castelvetrano, roccaforte dei Messina Denaro, su un terreno di proprietà di Giovanni Furnari, luogotenente del boss latitante. Ma non solo. Perché nelle attività dei due imprenditori sospettati di essere prestanomi del padrino delle stragi spunta anche la ‘ndrangheta. L’inchiesta ha ricostruito il trasferimento a Reggio Calabria di due società, la Bfg Energy Srl e la agricola Agrisland, con l’entrata nella struttura societaria di soggetti legati alla famiglia Aquino di Marina di Gioiosa Ionica: si tratta della stessa ‘ndrina che in passato era stata coinvolta insieme a Messina Denaro in un maxi traffico di cocaina dal Sudamerica.
Secondo gli analisti dell’intelligence antimafia il core business dei due imprenditori era il settore della raccolta e smaltimento rifiuti. I due Spallino, infatti, erano riusciti ad acquisire semplici cooperative che poi trasformavano in ricche società attive nel settore dello smaltimento rifiuti. È il caso della cooperativa Ecoplus di Castelvetrano: nata nel 1999 per muoversi nell’ambito dell’assistenza all’infanzia era diventata una società che gestiva la raccolta dei rifiuti. D’altronde quello delle discariche è sempre stato un settore molto importante per Cosa nostra, che ai tempi di Vincenzo Virga, capomafia di Trapani, descriveva le discariche con una semplice ed efficace frase: “Lì entra munnizza (spazzatura ndr) ed esce oro”.
Insegnamento che Messina Denaro ha recepito se è vero che l’intera struttura imprenditoriale degli Spallino era di sua proprietà. Del resto il rampollo di Totò Riina, il padrino alla moda latitante dal 1993, ha sempre dimostrato di saperci fare con gli affari. Negli anni le operazioni antimafia hanno sequestrato a Messina Denaro un patrimonio sterminato, valutato con cifre a nove zeri, attivo in tutti i settori: dall’edilizia alla ristorazione, dai grandi supermercati Despar ai villaggi turistici della Valtur, dall’abbigliamento all’energia eolica e fotovoltaica. Una vera e propria holding, forse il più ricco impero imprenditoriale del Meridione, quello a disposizione del misterioso boss di Castelvetrano, che però ogni giorno si ritrova sempre più solo.