Alessandra Sarlo è moglie del giudice Vincenzo Giglio, già condannato definitivamente per rapporti con il clan Valle-Lampada. Il marito aveva premuto per la sua nomina sul governatore Scopelliti. Che però è stato recentemente assolto per la stessa vicenda
Il Tribunale di Catanzaro ha condannato a due anni di reclusione l’ex manager della Regione Calabria Alessandra Sarlo, accusata di corruzione. Si è concluso così il processo nato dall’inchiesta sulla nomina della professionista a dirigente esterno del dipartimento “controlli” della Regione da parte della giunta all’epoca guidata da Giuseppe Scopelliti.
È stata accolta, in sostanza, la richiesta del pm Gabriella Viscomi che, durante la requisitoria, aveva auspicato una condanna a 2 anni e 3 mesi di carcere per la moglie dell’ex magistrato Vincenzo Giglio, recentemente condannato definitivamente a 4 anni e 5 mesi per i suoi rapporti con la ‘ndrangheta.
Anche per il Tribunale, quindi, la nomina di Alessandra Sarlo sarebbe avvenuta, nel 2011, in maniera irregolare in seguito a un avviso interno che non aveva portato all’individuazione di un candidato che avesse i requisiti per dirigere il dipartimento controlli. L’indagine, inizialmente coordinata dal pm Gerardo Dominjanni (oggi procuratore aggiunto di Reggio Calabria) si intreccia a doppia mandata con l’inchiesta della Dda di Milano sulla famiglia mafiosa dei Lampada che ha portato all’arresto del consigliere regionale Franco Morelli e del magistrato reggino Giglio. Proprio quest’ultimo, marito della Sarlo, avrebbe avuto un ruolo nell’ipotesi di reato di corruzione contestato alla moglie.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, grazie alle notizie riservate “passate” al consigliere regionale Franco Morelli, la Sarlo avrebbe ottenuto la nomina da parte della Regione. A confermare le intercettazioni telefoniche è stato un sms partito il 10 aprile 2010 dal cellulare del magistrato poco dopo l’elezione di Morelli. Un messaggino che ha indirizzato i magistrati sulle piste delle nomine regionali.
“Ti confesso un piccolo segreto, – aveva scritto Giglio al politico del Popolo della libertà – mia moglie fa parte della piccola cerchia di persone a cui piace lavorare molto. Perciò, quale che sia la destinazione, per favore, che sia un posto fortemente operativo e non di mera rappresentanza. Questo per la sua serenità e per il mio equilibrio interiore per cui invoco la solidarietà maschile. Grazie”.
Detto fatto: la moglie del magistrato venne nominata dalla giunta regionale, su proposta del governatore Giuseppe Scopelliti che è stato indagato, rinviato a giudizio e assolto, in primo grado, perché il “fatto non sussiste”. Il sospetto degli inquirenti era che, con delibera 381 dell’11 agosto 2011, alla luce dei curricula depositati, Scopelliti e la sua giunta avevano attestato apoditticamente e, dunque, falsamente che nessuno dei candidati, dirigenti interni alla Regione, possedesse una “esperienza sufficiente in proporzione alla complessità dell’incarico”. La Procura di Catanzaro ha presentato appello contro la sentenza di assoluzione dell’ex governatore della Calabria. E, in attesa, è arrivata la condanna della Sarlo.