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Dalla Traviata alla Carmen: tutte le prime flop dei grandi capolavori dell’opera

Non poche fra quelle che oggi consideriamo pietre miliari della musica di ogni tempo hanno ricevuto, alla loro prima uscita pubblica, un’accoglienza per nulla positiva, suscitando lo sdegno o l’ilarità del pubblico del tempo. Vediamone alcune

di Fabrizio Basciano

Quante opere, divenute col tempo incontestabili capolavori dell’olimpo musicale, hanno registrato alla loro prima esecuzione assoluta un fragoroso flop? Non poche fra quelle che oggi consideriamo pietre miliari della musica di ogni tempo hanno ricevuto, alla loro prima uscita pubblica, un’accoglienza per nulla positiva, suscitando lo sdegno o l’ilarità del pubblico del tempo. Vediamone alcune. Il 20 novembre 1805 è la data della prima assoluta dell’unica opera teatrale di Ludwig van Beethoven, il Fidelio. Il singspiel beethoveniano, con l’originale titolo di Leonore, andò in scena al Theater an der Wien (Vienna), e l’insuccesso, dovuto sia all’eccessiva lunghezza del lavoro che al particolare momento storico (Vienna era stata da poco invasa dai napoleonici e gli spettatori erano, in buona parte, militari francesi), fu tale da convincere Beethoven a ritirarlo immediatamente dalle scene. L’opera, dopo vari rimaneggiamenti, troverà solo nove anni più tardi l’anelato successo.

Il 20 febbraio del 1816, due secoli or sono, debuttava al Teatro Argentina di Roma, in quello che sarebbe poi divenuto uno dei più prestigiosi teatri di prosa nostrani, l’opera italiana più eseguita al mondo, Il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini. Al tempo il compositore era già direttore musicale del principale teatro d’opera europeo, il San Carlo di Napoli, con la possibilità di scrivere opere per altri palcoscenici italiani. Motivo principale del fiasco totale a cui andò incontro quest’opera, concepita a quanto pare nell’arco di soli tredici giorni, fu l’ostilità di un pubblico troppo affezionato al precedente Barbiere di Siviglia, quello di Paisello del 1782, e questo nonostante Rossini, che temeva simili reazioni, avesse cautelativamente cambiato il titolo dell’opera in Almaviva, o sia l’inutile precauzione: un accorgimento che si rivelò, appunto, un’inutile precauzione.

Il 6 marzo del 1853 al Teatro La Fenice di Venezia si tenne la prima assoluta di una nuova opera di Giuseppe Verdi, La Traviata, facente parte della cosiddetta trilogia popolare che contempla anche Rigoletto e Il Trovatore. Un clamoroso insuccesso dovuto in parte al soggetto, ritenuto alquanto scabroso, e in parte alla carenza dei cantanti, che lo stesso Verdi, a dado tratto, così commenterà: “La traviata, ieri sera, fiasco. La colpa è mia o dei cantanti? Il tempo giudicherà”. Già un anno dopo l’opera fu rimessa in scena, sempre al Teatro La Fenice, riscuotendo il meritato successo che da allora non ha fatto che continuare a crescere.

Il 12 marzo 1857 è data nella quale sempre Verdi e sempre presso La Fenice di Venezia raccolse un altro sconcertante insuccesso, questa volta con il suo Simon Boccanegra. Un fiasco che Verdi accolse, quantomeno apparentemente, con relativa tranquillità: “Il carnevale di Venezia è stato bello – scriveva all’amico e giornalista napoletano Vincenzo Torelli -, la stagione teatrale buona fin qui, ma ieri sera cominciarono i guai: vi fu la prima recita del Boccanegra che ha fatto fiasco quasi altrettanto grande che quello della Traviata. Credeva di aver fatto qualche cosa di passabile ma pare che mi sia sbagliato. Vedremo in seguito chi ha torto”.

Diciotto anni più tardi, presso l’Opéra-Comique di Parigi, andava in scena il capolavoro di George Bizet, Carmen, le cui arie sono tra le più celebri del genere operistico. Ebbene, la prima rappresentazione registrò un certo insuccesso, complice anche, come per Traviata, il soggetto ritenuto alquanto scabroso. L’autore inoltre non visse abbastanza per assistere al riscatto del suo più grande lavoro, morendo appena tre mesi dopo la prima rappresentazione. Quasi trent’anni più tardi, il 30 aprile del 1902, andò in scena, presso il Théâtre National de l’Opéra-Comique di Parigi, il Pelléas et Mélisande di Claude Debussy. Tratto dall’omonima opera letteraria di Maurice Maeterlinck, lo stesso fu all’origine del fiasco che il lavoro di Debussy registrò alla sua prima rappresentazione: infastidito infatti dalla scelta del direttore del teatro di affidare la prima esecuzione all’americana Mary Garden piuttosto che all’amante, Georgette Leblanc, il drammaturgo boicottò letteralmente la messinscena sia facendo distribuire all’ingresso del teatro bigliettini ingiuriosi che piazzando all’interno un gruppetto di disturbatori. Come dice il proverbio: sta bene uno fin quando vuole l’altro.

Appena due anni più tardi altro insuccesso clamoroso fu quello della Madama Butterfly di Giacomo Puccini, che debuttò il 17 febbraio 1904 al Teatro alla Scala di Milano. Eccone il resoconto dell’editore Giulio Ricordi: “Grugniti, boati, muggiti, risa, barriti, sghignazzate, i soliti gridi solitari di bis fatti apposta per eccitare ancor di più gli spettatori, ecco, sinteticamente, qual è l’accoglienza che il pubblico della Scala fa al nuovo lavoro del maestro Giacomo Puccini. Dopo questo pandemonio, durante il quale pressoché nulla fu potuto udire, il pubblico lascia il teatro contento come una pasqua!”. Il 29 maggio del 1913 debuttava, presso il Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, uno dei più celebri balletti della storia, La sagra della primavera di Igor Stravinsky. Non esiste cronaca che non ricordi quel debutto come il più colossale fiasco della storia musicale: “La sala è al completo – riportava Jean Cocteau -. A un occhio esperto non possono sfuggire i presupposti per uno scandalo: pubblico mondano, scollature ornate di perle, aigrettes, piume di struzzo (…) Questa sala di lusso è il simbolo dell’errore commesso nel dare in pasto un’opera di forza e giovinezza a un pubblico decadente”. Stravinsky, dal canto suo, non esitò ad attribuire la colpa dell’insuccesso alle coreografie della stella dei Balletti Russi, Vaslav Nijinskij, quando in realtà furono sia le musiche che i balletti a rappresentare qualcosa di completamente nuovo e sconcertante per il pubblico dell’epoca: i fischi degli spettatori, completamente esausti e prossimi alla rivolta, finirono per coprire letteralmente la musica.

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