Tommaso di Tanno commenta i provvedimenti più contestati: "Elusione più grave di evasione, perché la fanno i grandi delinquenti, ma se fossi al governo anche io penserei a come incassare più velocemente le sanzioni". Ma con l'innalzamento del limite per gli acquisti in banconote è solo un compromesso "per avere i voti" di chi fa il nero
“Il fisco è una macchina che deve esser messa in grado di funzionare. Quando interveniamo sulle sanzioni ci dobbiamo chiedere qual è il messaggio che mandiamo e quale il beneficio per la collettività: se il messaggio è sbagliato ma il gettito aumenta, occorre fare una scelta”. Per il tributarista Tommaso Di Tanno quando si parla di tasse il senso pratico deve avere la priorità. E’ per questo che, nei panni di Pier Carlo Padoan, non avrebbe dubbi: “Penserei più al gettito che all’etica”. Dal punto di vista etico “non è condivisibile, per esempio, la scelta di non punire con il carcere l’elusione fiscale, perché mentre a evadere sono spesso professionisti, piccoli commercianti e artigiani gli elusori sono invece grandi delinquenti, gente che scientemente mette in piedi operazioni complesse mirate a ottenere un vantaggio fiscale“. Ma “sotto il profilo della politica tributaria occorre tener conto che sanzionare penalmente l’elusione può accentuare le differenze di legislazione tra l’Italia e gli altri Paesi a nostro anno. Allora, ben venga la Realpolitik“.
Il ragionamento si applica anche all’aumento delle soglie di punibilità della dichiarazione infedele: “Se ho solo spostato un elemento di bilancio esistente da un anno all’altro, per esempio, non c’è menzogna. In quel caso ritengo giusto applicare solo una sanzione amministrativa. Più in generale, fare processi per importi evasi molto bassi non ha senso, in un’ottica di politica giudiziaria: se al posto di 500mila fascicoli ne aprissimo solo 50mila sarebbe più probabile arrivare a sentenza senza incappare nella prescrizione”.
Ma la Realpolitik, prosegue il fiscalista e collaboratore de lavoce.info, non basta per spiegare uno dei provvedimenti più discussi del governo Renzi: l’innalzamento da mille a 3mila euro del tetto all’uso del contante, previsto dalla legge di Stabilità: “Qui una motivazione concreta non la vedo. O meglio, vedo motivazioni futili. Quella propugnata dal presidente del consiglio e, ahimè, avallata dal ministro Padoan, è che l’amministrazione fiscale ha gli strumenti per tracciare i movimenti di denaro. Ma se così fosse, tanto vale eliminare la soglia tout court“. Come in Germania, Danimarca e Olanda. “Esatto: ma qualcuno può dire che la microeconomia italiana è uguale a quella danese? Se lo dice è da rinchiudere. Tutti ci siamo sentiti proporre di pagare in contanti l’idraulico in cambio di uno sconto. Delle due l’una: o gli strumenti informatici sono così affidabili che il tetto davvero non serve, e allora si toglie, o i mille euro hanno senso eccome. Quindi questa via di mezzo tra liberalizzazione e repressione serve solo per ottenere un po’ di voti strizzando l’occhio a chi vorrebbe una soglia molto più alta ma senza suscitare troppe ire da parte di chi vorrebbe abbassarla”. E gli affitti in contanti? “Stesso discorso”.
Infine la voluntary disclosure, cioè la possibilità di autodenunciare i capitali detenuti all’estero e regolarizzare la propria posizione pagando tasse e sanzioni. Il governo, all’avvicinarsi della scadenza del 30 novembre entro cui dovevano essere presentate le domande, ha concesso a chi ha nascosto soldi fuori dai confini nazionali condizioni sempre più favorevoli. Fino a sancire, nell’ultima versione del decreto che ha disciplinato l’operazione, che le Entrate dovranno concludere tutti i controlli entro il 31 dicembre 2016. “Mi sembra una scelta efficiente, che permette di rimettere in circolazione questo denaro in Italia senza lasciare il contribuente per anni con la spada di Damocle sulla testa. D’altronde, diciamolo, è una sanatoria. E le sanatorie non possono rimanere aperte per troppo tempo: prima si definiscono i rapporti che ne derivano, meglio è”.