A dispetto degli incentivi Idea real estate, Coima res, Sorgente res e Domus spa non sono riuscite a sbarcare in Borsa a causa dello scarso interesse degli investitori internazionali. Nonostante questo Palazzo Chigi studia una sua Siiq in sinergia con Cassa Depositi e Prestiti. Che potrebbe accorpare Invimit, la società di gestione del Tesoro
Dall’allungamento della vita dei fondi nel mattone al fallimento degli incentivi per le società immobiliari quotate (Siiq) fino alle triangolazioni degli edifici di pregio degli enti locali con la Cassa Depositi e Prestiti. Quando si parla di immobili, in oltre un anno di lavoro il governo Renzi non ne ha azzeccata una. E come se non bastasse, dietro l’angolo, c’è anche il rischio concreto che il peggio debba ancora arrivare con la svendita a tappe forzate del patrimonio pubblico e di parte degli asset in pancia alle casse previdenziali. Come è possibile? Tutta colpa di una strategia dell’esecutivo disarticolata e di breve respiro, dettata dall’esigenza dello Stato e dei grandi investitori italiani di far cassa.
Eppure le dolenti note del mattone sono già note da tempo al governo, che sa bene come gli immobili costituiscano parte rilevante del patrimonio di banche, assicurazioni, enti previdenziali ed enti locali. Non a caso, il decreto Competitività di fine 2014 mise una pezza a colore sui fondi immobiliari che investono nel mattone e lucrano rivendendo a medio termine gli immobili acquistati. Lo scorso anno il governo diede l’opportunità di allungare di un biennio la vita dei fondi che, altrimenti, avrebbero dovuto vendere gli immobili posseduti a prezzi da svendita per rimborsare i quotisti investitori. Con quella mossa l’esecutivo e l’intero sistema finanziario italiano guadagnarono un po’ di tempo per studiare una più ampia riorganizzazione.
A palazzo Chigi, la quadra venne trovata con lo Sblocca Italia che prevedeva un alleggerimento dei requisiti per accedere al regime fiscale delle società immobiliari quotate, aziende che sostanzialmente investono in immobili locati e pagano i rendimenti grazie ai canoni di locazione. Nei piani del governo, gli incentivi avrebbero dovuto favorire la nascita di Siiq italiane come emanazione dei più importanti operatori nazionali che puntavano a raccogliere capitali freschi all’estero e fare nuovi investimenti nel mattone italiano. Un piano perfetto, che però non è riuscito. A distanza di un anno, il fallimento delle Siiq italiane è sotto gli occhi di tutti: le quattro società che hanno tentato lo sbarco a Piazza Affari sono state costrette al dietrofront. Idea real estate (De Agostini), Coima res dell’ex pupillo di Salvatore Ligresti, Manfredi Catella, Sorgente res di Walter Mainetti e Domus spa di Francesco Gaetano Caltagirone (che dopo la quotazione avrebbe dovuto diventare siiq) non sono riuscite a suscitare l’interesse sperato sul mercato.
Ma per quale ragione visto che le Siiq sono un grande successo nel resto d’Europa e sono persino considerate un investimento stabile e sicuro? Gli investitori internazionali non hanno gradito il legame a doppio filo fra società di gestione dei fondi e Siiq che possono essere emanazione di uno stesso gruppo immobiliare. Troppo forte, secondo gli investitori, la tentazione di trasferire gli asset dai fondi alle Siiq per far quadrare i conti in casa. Soprattutto se non c’è una netta indipendenza del management. Il resto lo hanno fatto le tensioni sul mercato azionario e la coincidenza temporale con la più grande privatizzazione del Vecchio Continente, quella di Poste Italiane.
Risultato: le Siiq sono state finora un disastro. Ciononostante il governo Renzi, che ha anche rimandato la revisione del catasto per non pesare sulle quotazioni del mattone, ha deciso di andare avanti. A Palazzo Chigi si mormora di una Siiq pubblica in sinergia con la Cassa Depositi e Prestiti, che fa già investimenti nel mattone e che potrebbe accorpare Invimit, la società di gestione del ministero dell’Economia. Non è escluso quindi che in futuro sarà la Cdp di Claudio Costamagna e Fabio Gallia a gestire la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico (400-600 miliardi in totale). Tuttavia sin d’ora è evidente che anche la Cassa dovrà fare i conti con la tendenza di un mercato italiano che registra l’interesse di compratori stranieri solo su singoli asset di pregio con una scarsa attenzione verso le Siiq.
Intanto, in attesa delle prossime mosse del Tesoro sul mattone, sul mercato arriveranno presto anche gli immobili delle casse previdenziali obbligate dall’esecutivo a cedere la quota di investimenti nel mattone e in prodotti finanziari ad esso associati eccedente il 20% del totale. In questo caso, lo scopo del governo è spingere le casse a mettere un po’ di soldi (si stima 800 milioni in cinque anni) nell’economia reale favorendo così la ripresa dell’economia. In questo movimentato scenario, non resta che chiedersi quale sarà il risultato combinato del fallimento delle Siiq e dell’arrivo congiunto sul mercato degli immobili delle casse e del Demanio. Difficile dirlo, ma una cosa è certa: mai nella storia del Paese, il futuro del mattone, l’investimento più caro agli italiani, è sembrato più incerto di oggi.