Altro che crisi dei migranti e il crack di quattro banchette corrotte di provincia. Nessuno ne parla, l’argomento è tabù per Matteo Renzi e soprattutto per il ministro Padoan e il suo staff al Mef: oggi l’Italia rappresenta il massimo rischio sistemico globale. In che senso? Per via del suo colossale debito pubblico. Della questione si occupa stranamente Il Sole 24 Ore in un recente articolo di Dino Pesole (Strategie politiche per favorire la crescita). Ma dalla cortina di silenzio, dovrebbe venire fuori invece un urlo: “Facciamo qualcosa, prima che sia troppo tardi”. Nel nostro Paese ogni persona nasce «con un debito di oltre 36mila euro sulle spalle». Non virtuali, reali. Debiti che ammazzano la crescita. Dalla micro alla macroeconomia, fa paura constatare come nonostante gli innumerevoli sforzi di risanamento tentati, il nostro Paese resta esposto a rischi enormi.

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Con un debito pubblico di oltre 2mila miliardi, il più alto nei 28 paesi dell’Unione Europea, l’Italia è la nazione che più minaccia l’economia e i mercati mondiali, secondo il Fondo Monetario Internazionale che nel giugno 2015 ha pubblicato un report ignorato dai media ma divulgato nel dettaglio nel libro Rimetti a noi i nostri debiti. Il Fmi segue un criterio matematico, stante il quale il governo Renzi deve intervenire adesso, in modo radicale, per ridurre o ristrutturare il debito pubblico italiano, in un’operazione concordata con le autorità Ue. E di fronte alla domanda se sia preferibile imporre (ancora?) misure di austerità “made in Germany” oppure far conto sui bassi tassi d’interesse e provare a investire in programmi infrastrutturali aumentando la spesa pubblica, Il Sole 24 Ore risponde così: dipende dallo «spazio fiscale» di cui il governo dispone. L’Italia ne ha? Anticipiamo la risposta: no. In alternativa ci sono due possibili strategie (ambedue rivoluzionarie: scuoterebbero alle fondamenta l’Europa se Renzi le perseguisse – o anche l’opposizione come il M5S): far affluire direttamente «ai cittadini invece che alle banche commerciali» la liquidità che la Bce sta iniettando attraverso il Quantitative easing (che Draghi ha deciso di estendere fino a marzo 2017), puntando sul visionario progetto di un “QE per la gente“. E lanciare una sorta di «Giubileo del debito che permetta a tutti di ripartire da zero, concedendo respiro all’economia».

Solo così si potrà evitare che Roma si trovi un giorno nella stessa situazione di allarme rosso in cui si è trovata Atene, con la differenza che nel caso dell’Italia, la terza potenza economica dell’area euro, un default sarebbe cento volte più esplosivo per l’economia globale, di fronte a scenari di improvviso e drammatico peggioramento della congiuntura economica simili a quelli dell’estate/autunno 2011 e 2012. L’Italia fu ad un passo dal default caotico, con i tassi sui titoli di Stato al 7%, i Btp sotto attacco da parte delle banche tedesche, nelle drammatiche settimane in cui fu defenestrato il governo di centro-destra di Silvio Berlusconi inviso alla Troika di Bruxelles, e al suo posto installati in successione tre esecutivi non eletti dal popolo, con premier Monti, Letta e infine Renzi.

Il concetto di fondo è semplice: il debito pubblico soffoca la crescita e impoverisce i cittadini, per via dell’enorme quantità di denaro da pagare per il servizio al debito (l’Italia sborsa 65 miliardi di euro di soli interessi all’anno). Più debito, equivale a più tasse, un’equazione per idioti. Per una ripresa sana e solida, l’unica soluzione è ripartire da zero. Ristrutturare il debito, con varie soluzioni per un taglio secco di almeno 400 miliardi. Uno scenario che terrorizza i grandi faccendieri e le lobby bancarie che si sono giovati come oligarchia al potere dei piani straordinari di allentamento monetario attuati da super-poteri forti per salvare banche e banksters, la Federal Reserve per 7 anni dal 2008 al dicembre 2015 e la Bce dal marzo 2015 (anche le banche centrali di Gran Bretagna, Cina e Giappone hanno infuso centinaia di miliardi nelle loro economie).

Lo studio del Fondo Monetario Internazionale analizzato in Rimetti a noi i nostri debiti deve essere letto con gli occhiali del buon senso economico: cioè quando il debito pubblico è pericolosamente alto (quello italiano è pari al 143% del Pil rispetto al 74% della Germania) i governi – tutti i governi – non hanno altra strada che la leva fiscale, sono costretti a imporre nuove tasse. Siccome misure di austerità per cercare di far scendere il debito (la scuola di pensiero tedesca) sono diventate odiose e invise alla popolazione, in quanto non danno futuro ai senza lavoro aumentando le diseguaglianze sociali, resterebbe la strategia di approfittare dei bassi tassi d’interesse (dopo le manovre di Mario Draghi alla Bce i tassi oggi sono al minimo storico, ovvero zero o sottozero) investendo in spesa pubblica e opere di tipo infrastrutturale, come ponti, strade, educazione, ricerca.

Dicevamo che l’Italia non ne ha affatto, di «spazio fiscale», per rispondere alla domanda. Anzi Roma, nello studio del Fmi, è tristemente in testa a una classifica che vede un quartetto di paesi «appestati» come Cipro e Grecia (nazioni con un’economia minuscola…) e tra le nazioni industriali a grande Pil, il Giappone. Nella fascia “verde” dei paesi virtuosi ci sono Stati Uniti e Gran Bretagna (quindi viene sfatato il mito della pericolosità del colossale debito pubblico americano pari ad oltre 18 trilioni di dollari). Per Washington e Londra il messaggio del Fmi non pare equivoco, è inutile riparare il tetto se non piove, trattandosi di paesi in cui lo «spazio fiscale» risulta ampio, come si vede dal punteggio assegnato dal Fondo: Gran Bretagna 132,6 punti, Usa 165,1 punti, Germania 167,9. Invece – ecco il dramma – tra le nazioni al top nella classifica del rischio sistemico globale primeggiano Italia, Giappone, Cipro e Grecia. Tutte a livello 0 punti (zero), ovvero con «spazio fiscale» inesistente. Per questo l’Italia è obbligata alla ristrutturazione del debito.

Il Fmi non suggerisce altro che l’ineluttabile: il valore dell’opzione «debito da ridurre» diventa elevatissimo nello scenario in cui si dovesse fronteggiare il rischio di un evento catastrofico. Si chiama Cigno Nero: una crisi finanziaria inaspettata e non prevista che provoca un’impennata dei tassi sui bond sovrani, come è accaduto in Italia quando gli investitori (speculatori) pretesero un premio molto più ampio per l’aumento del rischio sul debito sovrano e di conseguenza provocarono il quasi congelamento di quei bond sui mercati (pre-default). «In  altre parole – scrivono gli economisti del Fmi – il debito deve essere ridotto oggi, subito, per abbassare il potenziale rischio di una crisi del debito sovrano domani».

Peccato che Renzi e Padoan facciano finta di nulla. Oppure sono consapevoli del rischio sistemico  – soprattutto il ministro dell’Economia – ma hanno deciso di lasciare la bomba inesplosa nelle mani del prossimo governo. Al di là del crac delle quattro banchette di provincia (una zanzara in groppa all’elefante, ovvero un sistema bancario già fallito per via dei 200 miliardi di sofferenze in “pancia”) Matteo e Pier Carlo corrono in autostrada a fari spenti nella notte, quasi che lo “spazio fiscale” dell’Italia sia identico a quello di Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania. Con la differenza che se l’Italia non trova una soluzione presto, l’onda d’urto dell’impatto un giorno potrebbe farsi sentire in tutta Europa e nel resto del mondo, come lo scoppio fragoroso di 100 Lehman Brothers in simultanea.

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