“La Figc è razzista”. A dichiararlo è il tribunale civile di Palermo, che ha condannato per “comportamento discriminatorio” la Federcalcio, colpevole di aver negato il tesseramento ad un minore di origini maliane che vive in Sicilia con una coppia di affidatari. Ma alla base del caso c’è un cortocircuito normativo con i regolamenti Fifa. E la sentenza, che restituirà al ragazzo il suo diritto di giocare a pallone, rischia d’altra parte di costituire un pericoloso precedente nella lotta contro il traffico di minorenni calciatori.
A.T. (le iniziali del nome, non divulgato per motivi di privacy) è un ragazzo di quasi 14 anni. È nato in Mali, da qualche tempo è arrivato in Italia senza genitori. Vive a Palermo affidato ad una coppia di affidatari, sotto la tutela dell’Assessore alla cittadinanza sociale, Agnese Ciulla. Qui sta provando a costruirsi una nuova vita, compreso coltivare quella che è sempre stata la sua grande passione: giocare a calcio. Ma quando ha provato a iscriversi con una squadra locale ai campionati giovanili, ha visto respinta la sua richiesta. Colpa del regolamento Fifa: le norme internazionali vietano il tesseramento di minori non accompagnati dai genitori, e che non si siano trasferiti dal loro Paese d’origine per motivi extracalcistici. La legge, introdotta nel 2009, è stata pensata per contrastare il fenomeno del “trafficking”, la tratta dei cosiddetti “ninos futbolistas”: ragazzini provenienti in particolare dal Sudamerica o appunto dall’Africa, che vengono pescati “a strascico” dai club europei alla costante ricerca di talenti a basso costo. Uno su mille ce la fa, gli altri vengono scaricati dopo essere stati sradicati dai loro Paesi d’origine. Per evitare situazioni simili la Fifa ha varato norme sempre più stringenti ed è molto vigile sulla questione: anche il recente blocco del mercato del Barcellona è dovuto a irregolarità nel tesseramento di minori.
La norma è scattata anche nel caso di A.T.: la sezione locale della Figc si è rifatta ai regolamenti internazionali e ha negato il tesseramento. Ma stavolta famiglia e Comune hanno deciso di rivolgersi al tribunale. E si sono visti dare ragione. Secondo il giudice Michele Ruvolo, la situazione personale e familiare del ragazzo, tutelato dal Comune ed inserito in un contesto affidatario, così come la stessa volontà della società sportiva di farlo partecipare al campionato, dimostrerebbero che non vi è il rischio di comportamenti speculativi. E il mancato tesseramento avrebbe alla base un “atteggiamento discriminatorio”, che ha determinato un “danno materiale” al ragazzo. Per questo il Tribunale ha ordinato l’immediata iscrizione per il campionato Giovanissimi regionali.
Tutto risolto, dunque. Anche se la vicenda potrebbe lasciare strascichi su più fronti. Da una parte la condanna e la brutta figura per la Federazione, che ha dimostrato di non saper applicare le norme nella giusta maniera (una commissione apposita, infatti, dovrebbe valutare caso per caso le richieste di tesseramento, e concedere deroghe – previste dal regolamento – laddove ne sussistano i requisiti). Dall’altra, la sentenza potrebbe creare un precedente, come avverte Stefano Sartori, responsabile sindacale dell’Assocalciatori: “Si fa presto a gridare alla discriminazione, ma bisogna stare attenti: le regole sul tesseramento degli under 18 sono fatte per contrastare il fenomeno della tratta dei minorenni, una vera piaga sociale del calcio moderno”.
Per una volta l’Aic si schiera a sostegno della Figc: “Evidentemente qualcosa non ha funzionato nella valutazione del caso specifico. Non si può morire di burocrazia e negare a un ragazzino il diritto di giocare a pallone, ma neppure abbassare la guardia e aprire uno spiraglio agli abusi: stabilire il principio che basta l’affidamento per tesserare un ragazzino extracomunitario può essere pericoloso”. Almeno per A.T., però, la storia è a lieto fine: da domenica potrà finalmente scendere in campo con la sua squadra.