Cosa resta di questo 2015, nel setaccio inesorabile della memoria? Alcune foto, delle sequenze, poche parole e molti fatti nella loro inequivocabile evidenza. Le foto si impongono per la loro capacità di sussistere in tutte le nostre sinapsi ed in tutti gli elementi cognitivi individuali e collettivi. Le foto con il loro debordare tra gli anni, le foto senza calendario che come le nuvole “vanno, vengono a volte tornano”.
La prima è quella che chiameremo “maglietta rossa su calzoncini blu” del piccolo Aylan. Chissà cosa fanno oggi i suoi genitori, i suoi fratelli, come vivono, dove è seppellito quel corpicino ormai diventato simbolo dell’immenso popolo delle rondini…i migranti, chissà dove sono tutti i protagonisti di quelle giornate che hanno cambiato il mondo.
La sequenza: il Papa preso d’assalto dalle monache a Napoli, che infrangono riti e protocolli e si avvicinano per toccare quell’omino vestito di bianco che parla chiaro e ha convinto tutti che la Chiesa ideale è quella consapevole di dover essere “ricca di povertà”. Tra le parole si impone in francese il Je suis che resta l’unica affermazione concreta dell’umanità in risposta all’orrore che purtroppo altrettanto umano “va, viene, a volte torna”. Un “io sono” cui manca un perché in luogo del cogito o dell’agostiniano “sono colui che sono”. Un Je suis, che foneticamente evoca anche uno “Jesus”.
Un Je suis cui avrà dato una risposta la Cristoforetti, guardandoci dall’immenso, affannati nella nostra “pochezza”. Passa il 2015 come un treno senza velocità tra stradine e muretti a secco infettati da un mostro invisibile che taglia i secoli. Scorre tra orrore, solidarietà, cinismo e misericordia. Lo fa come hanno sempre fatto gli anni: senza se e senza ma. Vola il 2015 sputando fuoco dai suoi vulcani e danzando su un tappeto di petali rossi, aspettando che l’alba si accenda ed il mare sbadigli sugli scogli.
I fatti sono pronti a parlare con la loro crudele sincerità in un 2016 che sarà senz’altro migliore, perché migliori saremo noi. La linea dritta sotto le cose la tira Arturo col suo libro: Arturo colleziona mostri. Ci fa capire con la semplicità del Je suis che a volte i mostri basta disegnarli per renderli innocui. Ognuno può dargli i colori che vuole e cambiarli guardando dentro le cose e scoprendo cose che la nostra presunta normalità spesso non vede.
Grazie Arturo per il tuo suggerimento, grazie perché ci ricordi che il mondo dentro e il mondo fuori si accompagnano su sentieri vari. Grazie a tutti gli Arturo che ci ricordano che il dolore non esiste se abbiamo il coraggio e la tenacia di affrontarlo con un semplice Je suis. Quando capiremo a fondo che la condizione non è necessariamente una malattia, allora si che riusciremo ad essere tutti “nous sommes”. Buon 2016 a tutti.