Per loro la moda è una passione antica. E nasce ben prima che la potente famiglia aretina dei Moretti si mettesse a progettare gli outlet The Mall con l’ex presidente della Popolare dell’Etruria e del Lazio, Lorenzo Rosi, la costruttrice Ilaria Niccolai e la consulenza del suo socio, Tiziano Renzi. Nasce e si consolida grazie al connubio con i Lebole, altra illustre famiglia aretina che ha vestito la borghesia italiana degli anni Sessanta e che è nota alle cronache per i rapporti d’affari con Licio Gelli al quale vendette, tra il resto, villa Wanda. In tempi più recenti, poi, i Moretti hanno stretto alleanze con altri nomi noti del settore, come quello del patron di Prada, Patrizio Bertelli. Insomma, il loro legame con la moda è caratterizzato da molte luci, ma anche da ombre.
Lo dimostra quello che è accaduto ad Arezzo, nelle stesse ore in cui, il 16 dicembre 2015, veniva allestita la camera ardente di Gelli. Quella mattina in tribunale si è aperto, e in pratica chiuso, un curioso processo a carico del capostipite della famiglia di industriali locali del tessile e del vino. Assente in aula l’imputato, Antonio Moretti, che invece, secondo il Corriere della Sera, era tra i pochissimi volti noti che hanno reso omaggio alla salma del venerabile. Presente una mezza dozzina di ex dipendenti della Confitalia, già colonna portante del polo della moda dei Moretti fallita nel 2013 sotto il peso di 27 milioni di debiti. Tutti pronti a testimoniare sulle accuse di commercio di prodotti contraffatti delle quali è chiamato a rispondere il solo capofamiglia in quanto rappresentante legale della società di cui, all’epoca dei fatti contestati, era amministratore delegato il figlio Andrea, che oggi, insieme alla madre è tra i protagonisti dell’affare The Mall.
In pratica, stando all’impianto accusatorio, lo stesso uomo che oggi muove le fila di uno dei più importanti snodi della moda in Italia, ha guidato un’azienda che tra il 2009 e l’inizio del 2010 ha immesso sul mercato capi cinesi camuffati da italiani. A risponderne, però, è stato chiamato suo padre che rappresentava la società e, visti i tempi del procedimento che è iniziato ben cinque anni dopo i primi esposti, se il processo andrà avanti potrebbe cavarsela con la prescrizione che maturerà nel 2017. Ma il procedimento potrebbe arrivare su un binario morto ben prima, visto come è andata la seconda udienza che si è chiusa con l’invalidazione della seconda testimonianza. “Ho lavorato due anni per Confitalia, spesso a nero”, ha dichiarato una ex dipendente. Di cosa si occupava? “Ero un jolly, ho stirato, selezionato i capi, messo i cartellini, un po’ di tutto”. E alla domanda del pm sulla provenienza dei capi ha risposto che “a quanto ne so io dalla Cina”. Ma ha mai visto dei capi di abbigliamento con l’etichetta Made in China? “Come no? Le cambiavo anche: si toglieva quella Made in China e si metteva quella con scritto Made in Italy … Lo facevano tutti”.
Di fatto una confessione di concorso in reato, come hanno subito intuito i legali di Moretti che, invocando l’articolo 63 del codice, hanno chiesto che le parole della teste venissero utilizzate contro di lei o, in alternativa, dichiarate inutilizzabili. Il giudice propende per la seconda ipotesi e decide di sospendere l’udienza perché tutti gli altri testimoni di giornata non avrebbero fatto altro che raccontare fatto analoghi (“Di notte arrivavano i container dalla Cina, li scaricavano, venivano chiusi dentro e preparavano tutti i cartoni così la mattina dopo era tutto pronto per la partenza per i negozi”, dicono per esempio), mettendosi nella stessa posizione dell’ex collega. L’intoppo, come confermato al Fatto Quotidiano dal giudice, dipende da un vizio di forma: il pubblico ministero Alessandra Falcone, titolare del fascicolo, aveva chiesto di interrogare i testimoni con le dovute garanzie, ma non è stato fatto. Risultato: tutto rinviato a fine aprile 2016, quando alla prescrizione mancherà meno di un anno.
Fuori dall’aula la soddisfazione dei legali di Moretti è evidente, come quella dell’unico teste della difesa, che non ha dovuto neanche rispondere alle domande dell’accusa. Si tratta del ragionier Marcello Innocenti, da sempre uomo di fiducia dei Moretti nonché all’epoca dei fatti direttore amministrativo di Confitalia, che conferma sia i rapporti intensi tra la famiglia e Banca Etruria sia le attività di Andrea a Cipro nell’ambito del progetto The Mall di Leccio Reggello. “Sì, è vero. Ho avuto alcune procure dai Moretti e lavoro per loro. A Cipro hanno dei soci stranieri. E’ tutto alla luce del sole, nei registri delle imprese. I Moretti sono clienti e soci di Banca Etruria? Chi ad Arezzo, tranne me, non lo è: a chiunque prendeva un prestito di regola gli chiedevano di sottoscrivere delle azioni dell’istituto”.
In caso di condanna, si aprirebbe più di un’ombra sulla storia imprenditoriale di Antonio Moretti, che nel frattempo ha lasciato il tessile, dove è stato anche socio di Patrizio Bertelli, mister Prada, per dedicarsi ai vini prodotti dalle uve della sua tenuta di Castiglion Fibocchi, nella campagna aretina, a poche centinaia di metri dalla Giole e a qualche chilometro da villa Wanda. Solo suggestioni. Diverso, invece, quello che risulta dagli atti della commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia P2. Dove Alberto Moretti, il padre di Antonio, viene citato in quanto uno dei tre titolari della società immobiliare Belvedere d’Arezzo. Gli altri due soci erano i fratelli Giovanni e Mario Lebole, quest’ultimo presente direttamente nella lista degli adepti del venerabile scoperta negli uffici della Giole. Tra i documenti sequestrati dall’autorità giudiziaria nel 1981, c’è anche una domanda di iscrizione alla loggia avanzata da Antonio Moretti: è datata 21 novembre 1977 e – scrivevano i relatori – “pare fosse rimasta in sospeso”. Non in sospeso, invece, il rapporto tra i Moretti e la moda.
A portare avanti il nome della famiglia nel settore, infatti, ci hanno pensato sia i figli di Antonio (Alberto e Andrea) che la moglie Luciana Lo Franco. Andrea, tra le mille cose si è occupato del marchio Pull Love, maglieria e accessori, brand giovane che a fine 2014 dava lavoro a 300 dipendenti e contava su oltre 100 punti vendita, molti dei quali nei centri commerciali. Ed è proprio negli outlet che si è sviluppata negli anni un’altra attività di rilievo della famiglia, con Moretti junior e sua madre che risultano tra i protagonisti dell’ampliamento del The Mall di Leccio Reggello. Raggiunta telefonicamente, la signora Lo Franco preferisce invece non rispondere alle domande del Fatto Quotidiano: “Mi disturbate”, dice prima di chiudere la conversazione. Impossibile, invece, parlare con Andrea Moretti: il suo cellulare squilla a vuoto. “E’ a Londra, vive lì”, racconta il suo avvocato e conferma Innocenti. Anche se qualche ora dopo Andrea è segnalato al The Mall di Leccio Reggello. Potenza dei moderni mezzi di trasporto? Possibile e lo stesso si può dire per il padre, che secondo i legali si trovava a New York ma in serata era già alla camera ardente di Gelli ad Arezzo.
Lobby
Moretti, tessile e affari: dagli outlet con papà Renzi all’alta moda (made in China)
La potente famiglia toscana, che ha partecipato all'affare The Mall di Leccio Reggello con il padre del presidente del Consiglio, è sotto processo ad Arezzo per vendita di prodotti contraffatti. Gli ex dipendenti: "Ci facevano cambiare la targhetta"
Per loro la moda è una passione antica. E nasce ben prima che la potente famiglia aretina dei Moretti si mettesse a progettare gli outlet The Mall con l’ex presidente della Popolare dell’Etruria e del Lazio, Lorenzo Rosi, la costruttrice Ilaria Niccolai e la consulenza del suo socio, Tiziano Renzi. Nasce e si consolida grazie al connubio con i Lebole, altra illustre famiglia aretina che ha vestito la borghesia italiana degli anni Sessanta e che è nota alle cronache per i rapporti d’affari con Licio Gelli al quale vendette, tra il resto, villa Wanda. In tempi più recenti, poi, i Moretti hanno stretto alleanze con altri nomi noti del settore, come quello del patron di Prada, Patrizio Bertelli. Insomma, il loro legame con la moda è caratterizzato da molte luci, ma anche da ombre.
Lo dimostra quello che è accaduto ad Arezzo, nelle stesse ore in cui, il 16 dicembre 2015, veniva allestita la camera ardente di Gelli. Quella mattina in tribunale si è aperto, e in pratica chiuso, un curioso processo a carico del capostipite della famiglia di industriali locali del tessile e del vino. Assente in aula l’imputato, Antonio Moretti, che invece, secondo il Corriere della Sera, era tra i pochissimi volti noti che hanno reso omaggio alla salma del venerabile. Presente una mezza dozzina di ex dipendenti della Confitalia, già colonna portante del polo della moda dei Moretti fallita nel 2013 sotto il peso di 27 milioni di debiti. Tutti pronti a testimoniare sulle accuse di commercio di prodotti contraffatti delle quali è chiamato a rispondere il solo capofamiglia in quanto rappresentante legale della società di cui, all’epoca dei fatti contestati, era amministratore delegato il figlio Andrea, che oggi, insieme alla madre è tra i protagonisti dell’affare The Mall.
In pratica, stando all’impianto accusatorio, lo stesso uomo che oggi muove le fila di uno dei più importanti snodi della moda in Italia, ha guidato un’azienda che tra il 2009 e l’inizio del 2010 ha immesso sul mercato capi cinesi camuffati da italiani. A risponderne, però, è stato chiamato suo padre che rappresentava la società e, visti i tempi del procedimento che è iniziato ben cinque anni dopo i primi esposti, se il processo andrà avanti potrebbe cavarsela con la prescrizione che maturerà nel 2017. Ma il procedimento potrebbe arrivare su un binario morto ben prima, visto come è andata la seconda udienza che si è chiusa con l’invalidazione della seconda testimonianza. “Ho lavorato due anni per Confitalia, spesso a nero”, ha dichiarato una ex dipendente. Di cosa si occupava? “Ero un jolly, ho stirato, selezionato i capi, messo i cartellini, un po’ di tutto”. E alla domanda del pm sulla provenienza dei capi ha risposto che “a quanto ne so io dalla Cina”. Ma ha mai visto dei capi di abbigliamento con l’etichetta Made in China? “Come no? Le cambiavo anche: si toglieva quella Made in China e si metteva quella con scritto Made in Italy … Lo facevano tutti”.
Di fatto una confessione di concorso in reato, come hanno subito intuito i legali di Moretti che, invocando l’articolo 63 del codice, hanno chiesto che le parole della teste venissero utilizzate contro di lei o, in alternativa, dichiarate inutilizzabili. Il giudice propende per la seconda ipotesi e decide di sospendere l’udienza perché tutti gli altri testimoni di giornata non avrebbero fatto altro che raccontare fatto analoghi (“Di notte arrivavano i container dalla Cina, li scaricavano, venivano chiusi dentro e preparavano tutti i cartoni così la mattina dopo era tutto pronto per la partenza per i negozi”, dicono per esempio), mettendosi nella stessa posizione dell’ex collega. L’intoppo, come confermato al Fatto Quotidiano dal giudice, dipende da un vizio di forma: il pubblico ministero Alessandra Falcone, titolare del fascicolo, aveva chiesto di interrogare i testimoni con le dovute garanzie, ma non è stato fatto. Risultato: tutto rinviato a fine aprile 2016, quando alla prescrizione mancherà meno di un anno.
Fuori dall’aula la soddisfazione dei legali di Moretti è evidente, come quella dell’unico teste della difesa, che non ha dovuto neanche rispondere alle domande dell’accusa. Si tratta del ragionier Marcello Innocenti, da sempre uomo di fiducia dei Moretti nonché all’epoca dei fatti direttore amministrativo di Confitalia, che conferma sia i rapporti intensi tra la famiglia e Banca Etruria sia le attività di Andrea a Cipro nell’ambito del progetto The Mall di Leccio Reggello. “Sì, è vero. Ho avuto alcune procure dai Moretti e lavoro per loro. A Cipro hanno dei soci stranieri. E’ tutto alla luce del sole, nei registri delle imprese. I Moretti sono clienti e soci di Banca Etruria? Chi ad Arezzo, tranne me, non lo è: a chiunque prendeva un prestito di regola gli chiedevano di sottoscrivere delle azioni dell’istituto”.
In caso di condanna, si aprirebbe più di un’ombra sulla storia imprenditoriale di Antonio Moretti, che nel frattempo ha lasciato il tessile, dove è stato anche socio di Patrizio Bertelli, mister Prada, per dedicarsi ai vini prodotti dalle uve della sua tenuta di Castiglion Fibocchi, nella campagna aretina, a poche centinaia di metri dalla Giole e a qualche chilometro da villa Wanda. Solo suggestioni. Diverso, invece, quello che risulta dagli atti della commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia P2. Dove Alberto Moretti, il padre di Antonio, viene citato in quanto uno dei tre titolari della società immobiliare Belvedere d’Arezzo. Gli altri due soci erano i fratelli Giovanni e Mario Lebole, quest’ultimo presente direttamente nella lista degli adepti del venerabile scoperta negli uffici della Giole. Tra i documenti sequestrati dall’autorità giudiziaria nel 1981, c’è anche una domanda di iscrizione alla loggia avanzata da Antonio Moretti: è datata 21 novembre 1977 e – scrivevano i relatori – “pare fosse rimasta in sospeso”. Non in sospeso, invece, il rapporto tra i Moretti e la moda.
A portare avanti il nome della famiglia nel settore, infatti, ci hanno pensato sia i figli di Antonio (Alberto e Andrea) che la moglie Luciana Lo Franco. Andrea, tra le mille cose si è occupato del marchio Pull Love, maglieria e accessori, brand giovane che a fine 2014 dava lavoro a 300 dipendenti e contava su oltre 100 punti vendita, molti dei quali nei centri commerciali. Ed è proprio negli outlet che si è sviluppata negli anni un’altra attività di rilievo della famiglia, con Moretti junior e sua madre che risultano tra i protagonisti dell’ampliamento del The Mall di Leccio Reggello. Raggiunta telefonicamente, la signora Lo Franco preferisce invece non rispondere alle domande del Fatto Quotidiano: “Mi disturbate”, dice prima di chiudere la conversazione. Impossibile, invece, parlare con Andrea Moretti: il suo cellulare squilla a vuoto. “E’ a Londra, vive lì”, racconta il suo avvocato e conferma Innocenti. Anche se qualche ora dopo Andrea è segnalato al The Mall di Leccio Reggello. Potenza dei moderni mezzi di trasporto? Possibile e lo stesso si può dire per il padre, che secondo i legali si trovava a New York ma in serata era già alla camera ardente di Gelli ad Arezzo.
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(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.