Chissà cosa direbbe di tanta improvvisazione Salvatore Contarini, potente segretario generale del ministero degli Esteri che seppe dire anche qualche “no” a Benito Mussolini. All’ombra della Farnesina, al 25 della via a lui intitolata a Roma, si compirà il prossimo 4 gennaio un passaggio epocale. Per ora, per la verità, il pathos che accompagna l’evento è più quello di un appuntamento al buio: solo lunedì prossimo infatti sarà possibile capire quante persone avranno lasciato formalmente il ministero degli Esteri guidato da Paolo Gentiloni (nella foto) per entrare nella squadra dell’Agenzia per la cooperazione internazionale al via dal 1 gennaio 2016. Chi varcherà il portoncino della palazzina a ridosso del vialone che collega lungotevere con la Farnesina a Roma per assumere l’incarico? Nessuno lo sa. E questa non è che la prima incognita che incombe sulla cooperazione nell’assetto delineato dalla legge del 2014 che, come parte integrante della politica estera nostrana, dovrebbe essere gestita direttamente dal viceministro degli Esteri. La casella è, come noto, sguarnita da mesi, e cioè da quando, a metà giugno, Lapo Pistelli ha deciso di cambiare vita lasciando la politica per indossare la casacca dell’Eni.
MISTERO BUFFO Ma a mancare non è solo un tutore politico. Sedici mesi dopo la nuova legge che manda in cantina le norme che per quasi trent’anni hanno regolato il settore e sei mesi dopo l’entrata in vigore dello statuto dell’Agenzia è noto solo il nome di chi la dirigerà e cioè Laura Frigenti, nominata a fine novembre e prossima all’insediamento. Sull’organico invece è ancora mistero fitto perché i funzionari della cooperazione hanno avuto tempo fino al 31 dicembre per scegliere se passare all’Agenzia, ente controllato dal ministero degli Esteri ma dotato di autonomia anche finanziaria. Chi ha optato per la nuova Agenzia non lo ha fatto, peraltro, con grande serenità. Il mistero è fitto infatti anche sulla sede dove dovranno convergere tutti gli esperti dell’Unità tecnica e i funzionari comandati da altre amministrazioni finora in carico alla Farnesina: dovrebbe trattarsi di circa 150 persone a cui assicurare una scrivania, un telefono e tutto il necessario per poter lavorare, a partire dallo staff della stessa Frigenti. E, stando ai numeri in campo, la sede non potrà essere, almeno da subito e per tutti, quella di via Contarini 25 rispetto alla quale esistono molti progetti di ampliamento ma tutti finora rimasti sulla carta. Aspetti marginali, ma fino ad un certo punto: il passaggio da un’amministrazione ad un’altra è un’incognita persino per i badge e per il servizio mensa.
PIATTO RICCO La transizione non si annuncia semplice neppure per aspetti di natura più sostanziale come ha denunciato Info-cooperazione.it, il blog degli operatori della cooperazione internazionale che ha segnalato come su molti passaggi si registri un forte ritardo mentre si intravvedono all’orizzonte buchi normativi e rallentamenti delle attività in corso. Il blog ha raccolto una serie di preoccupazioni sollevate da diverse organizzazioni, come quella legata al riconoscimento delle Ong. Ad oggi l’elenco delle organizzazioni italiane idonee è composta da 234 soggetti. Un elenco che stando alla nuova legge doveva essere aggiornato entro il 31 dicembre attraverso una selezione mediante procedure comparative: l’Agenzia insomma avrebbe dovuto emettere dei bandi per i soggetti iscritti in questo elenco, ma il tempo è già scaduto e dell’elenco non c’è neanche l’ombra. Mancano anche le regole sulle condizioni e le modalità per la selezione dei soggetti cui affidare la realizzazione di iniziative di cooperazione allo sviluppo, comprese quelle di emergenza. Eppure il piatto è ricco, oltre 700 milioni di euro in tre anni solo dalla legge di stabilità appena approvata.
SENZA REGOLE Insomma a poche ore dal via operativo mancano tante cose fondamentali a partire dalle procedure di accreditamento dell’Agenzia presso le istituzioni estere, il reclutamento degli staff delle sedi internazionali, la formazione del personale su un aspetto delicatissimo che chiama in campo anche Cassa depositi e Prestiti. Il perché sta scritto nella legge che riconosce l’ingresso dei privati nelle dinamiche e strategie della cooperazione allo sviluppo. Con quali regole d’ingaggio però non è dato di sapere. Il rischio invece è noto e richiama all’infausta esperienza del Fondo aiuti italiano (Fai). “Correva l’anno 1987 quando nacque il Fai, Agenzia dotata di cospicue risorse finanziarie e il sostegno politico di un Parlamento che incitava a fare presto per salvare almeno ‘un milione di poveri da morte certa’”, ricorda Agostino Miozzo che ha passato tanta parte della sua vita alla cooperazione per poi essere chiamato nel 2010 dalla Catherine Ashton, responsabile per gli Affari Esteri e la Sicurezza Ue, a dirigere la Protezione civile europea. “C’erano allora, come oggi, tutti gli ingredienti per una vera rivoluzione culturale nel modo di fare cooperazione; peccato che, allora come oggi, mancassero le regole per governare quel processo. Gli esiti di quell’esperienza sono noti a molti, forse non ai più giovani, certamente a Piazzale della Farnesina è ben nota la lista di arresti e di condanne di tecnici e diplomatici dovute alla gestione di quei 1800 miliardi. Le politiche del ‘blending pubblico privato’ rischiano di nascere sotto gli stessi auspici: molta enfasi sulla necessità di nuove risorse e strategie finanziarie, l’urgenza di operare con nuovi soggetti, un ampio sostegno politico; il tutto nella più assoluta mancanza di regole certe, oltre che di cultura condivisa da parte di coloro che da sempre hanno lavorato nella tradizionale cooperazione allo sviluppo e poco si sono confrontati con il mondo e le regole del ‘privato’. Lo stesso vale per quanti hanno sempre vissuto il ‘privato’ e ben poco sanno di cooperazione allo sviluppo, delle sue dinamiche, dei suoi limiti non sempre compatibili con il mercato, che dovrebbero guardare al raggiungimento di obiettivi che non necessariamente condividono la logica del ‘businnes is businnes’: insomma c’è il rischio legato a quanti vedono nell’Agenzia solo l’occasione di ottenere una facile copertura politico-diplomatica (sinora ottenuta con grande difficoltà), per realizzare affari in paesi poveri, ma potenzialmente molto ricchi di risorse proprie e di prospettive di mercato”.