L’ultimo libro di Andrea Nicolotti offre uno spaccato interessante del dibattito interno alla Chiesa cattolica su reliquie e storicità. Nel diciannovesimo secolo si affermarono non soltanto le scienze naturali moderne ma anche il metodo scientifico storico-critico. La Chiesa cattolica si trovò di fronte al dilemma di come comportarsi rispetto alle reliquie, soprattutto quelle cosiddette di “prima categoria” presuntamente appartenute a Gesù Cristo o agli apostoli. Mentre queste potevano avere una tradizione di culto anche secolare, non sono note fonti storiche affidabili che permettano di collegare un qualsiasi oggetto a Gesù Cristo. Nessun problema: oggi come allora la fede non è basata nel credere alle reliquie. Per questo, all’epoca la Chiesa decise di lasciare libertà di scelta sulla possibilità o meno di venerare le reliquie, eccetto il caso in cui esse si dimostrassero false senza ombra di dubbio.

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Una delle reliquie più famose della cristianità è sicuramente la Sindone di Torino, che tuttavia fino alla fine del XIX secolo era stata oggetto di un’attenzione tutto sommato limitata, poiché l’immagine impressa su di essa era scarsamente visibile e la reliquia era esposta molto raramente. Nel 1898 il fotografo Secondo Pia ottenne di poter fotografare la Sindone, e scoprì che in realtà l’immagine nel negativo risulta molto più chiara. In questo non c’è alcun fenomeno soprannaturale perché probabilmente la Sindone è stata prodotta per contatto con un bassorilievo o simili, per cui le parti più sporgenti della figura sono quelle più dense di colore; la foto al negativo restituisce pertanto un’immagine invertita più semplice da guardare, perché le rappresentazioni più comuni sono quelle in cui le parti maggiormente in rilevo sono quelle più illuminate. Le foto di Secondo Pia però fecero gridare al miracolo e la loro ampia diffusione diede inizio alla fortuna moderna della Sindone, con la nascita di una disciplina pseudoscientifica (la sindonologia) che cerca di dimostrarne l’autenticità contro qualsiasi evidenza e che per certi versi si avvicina a certe pratiche di idolatria.

In questo panorama si muove il protagonista del libro, l’abate Ulysse Chevalier, autore di centinaia di apprezzate opere a carattere storico. Chevalier era un conservatore ma anche uno studioso rigoroso. Pubblicò moltissimi documenti storici sulla Sindone fra i quali il memoriale del vescovo Pierre d’Arcis del 1389, nel quale si racconta come il presunto sudario fosse sfruttato dai canonici di Lirey al fine di ingannare i fedeli, persino servendosi di persone che per denaro fingevano di ottenere guarigioni da malattie gravi, come i più moderni complici dei venditori degli oli di serpente. Poiché la Chiesa lascia libertà riguardo al culto delle reliquie, Chevalier, che non dimentichiamo era un sacerdote, raccontò la vera storia della Sindone ricevendo successo e consenso tra laici e cattolici grazie alla serietà e qualità dei suoi scritti. A questo punto, però, Chevalier fu denunciato al Sant’Uffizio (la vecchia inquisizione) e ad altre due congregazioni pontificie da parte di un sacerdote italiano, Emanuele Colomiatti, con l’approvazione dell’allora arcivescovo di Torino cardinale Agostino Richelmy. La Santa Sede esaminò le carte, trovando però ben poco da contestare alla ricostruzione di Chevalier. Anche il papa Leone XIII, è riferito in una lettera, emise un giudizio tranciante: non sustinetur, cioè l’autenticità della Sindone non sta in piedi.

Ma il culto della Sindone non si può fermare. La decisione presa a Roma non è resa esecutiva, per non turbare i sonni dei torinesi e del potente proprietario della reliquia, il re d’Italia. Chevalier riceve nel 1903 l’ordine del silenzio nonostante la Congregazione delle Reliquie avesse giudicato la correttezza della sua ricostruzione, ordine al quale si piegherà non scrivendo più nulla sull’argomento fino alla sua morte. Sarà poi sprezzantemente tacciato dai suoi oppositori come “modernista”, nemico della tradizione della Chiesa.

cop (4)Il libro di Nicolotti “Il processo negato” ricostruisce la vicenda pubblicando documenti inediti, e cerca di rendere giustizia a quello che fu un insigne studioso messo a tacere perché sosteneva tesi “scomode”. La figura dell’abate ricorda quella dell’autore, uno stimato storico del cristianesimo che (con le dovute differenze, in quanto oggi per fortuna non è più possibile costringere al silenzio uno storico) ha ricevuto diverse critiche per aver contribuito a smitizzare le leggende sulla Sindone con le sue opere (ad esempio, per ben quattro volte il quotidiano cattolico Avvenire si è lagnato per il contenuto dei suoi scritti. Leggi qui e qui).

Oggi purtroppo dominano sui mezzi d’informazione notizie senzazionalistiche su Madonne piangenti e Strade dei Miracoli, sempre con il cosiddetto “esperto” di turno che è pronto ad affermare “la Scienza non può spiegare questo”, ma che in realtà si è ben guardato dal cercare una spiegazione diversa dal miracolo che egli spera di poter accertare. Personalità dotate di pensiero critico che hanno raccontato i fatti come Chevalier non sono mai state troppo gradite al potere dominante, ed è bene ricordarle.

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