La mobilitazione delle organizzazioni di volontariato prosegue, nonostante gli ultimi emendamenti al disegno di legge di riforma del terzo settore abbiano modificato alcuni articoli che erano stati contestati perché discriminanti e riduttivi di questa parte del non profit rispetto all’impresa sociale. Ma sullo sfondo resta un nodo importante: la figura tradizionale del volontario, legato a una specifica organizzazione e disponibile a impegnarsi in modo continuativo, sembra in via di estinzione. I giovani, sempre più precari e con redditi bassi, tendono infatti a sposare singole cause per brevi periodi.
Sul fronte della riforma, secondo il senatore Stefano Lepri che è relatore del provvedimento in commissione Affari costituzionali “grazie agli emendamenti di alcuni colleghi abbiamo sanato un’asimmetria nella formulazione dell’articolo 2, che poteva supporre un trattamento più favorevole delle imprese sociali rispetto alle organizzazioni di volontariato”. Inoltre sono state modificate le norme sui Centri di servizio per il volontariato, “dove una terminologia ambigua poteva far pensare che anche le imprese sociali potessero far parte della base associativa. Nell’articolo 5 abbiamo chiarito che tali imprese non potranno in nessun caso far parte dei soci; potranno beneficiare del supporto tecnico dei centri di servizio, ma solo per promuovere il volontariato svolto al loro interno. Infine, con un altro emendamento abbiamo aggiunto la frase ‘favorendo, all’interno del terzo settore, la specificità e le tutele dello status di volontario e delle organizzazioni di soli volontari’. Ora conto che entro febbraio 2016 il testo passi all’aula e concluda rapidamente il suo iter”.
Ma il settore non è soddisfatto: dopo l’autoconvocazione nazionale del 5 dicembre a Roma il Forum nazionale del terzo settore, la Consulta del volontariato presso il forum, il Coordinamento nazionale dei centri di servizio per il volontariato (Convol), la Conferenza permanente delle associazioni, federazioni e reti di volontariato, Caritas italiana e Centro Nazionale Volontariato hanno programmato una serie di iniziative che proseguiranno fino ad aprile 2016, per concludersi al Festival del volontariato di Lucca. Il timore delle rappresentanze lo spiega Emma Cavallaro, presidente del Convol: “Il volontariato è passione per la centralità della persona e per la costruzione di una società libera e accogliente e le nostre organizzazioni lo testimoniano ogni giorno nell’agire gratuito e nel dono di sé. Ma non è, né vuole essere, il tappabuchi del cattivo funzionamento delle istituzioni pubbliche”.
Il timore che il volontariato possa perdere peso ed essere trasformato in lavoro a basso costo nel campo dell’assistenza non è infondato, come dimostra la recente sentenza della Cassazione che blocca ogni tentativo di introdurre rimborsi spese forfettari. Ma un fenomeno ben più significativo è appunto la crisi della figura sociale del volontario come era intesa fino a qualche anno fa. Un’analisi dei dati disponibili lo dimostra. Anche se il censimento Istat 2011 ha contato 4,8 milioni di volontari in tutto il terzo settore, una ricerca recentissima della Fondazione per il volontariato e la partecipazione (basata su indagini campionarie) stima in 1,7 milioni le persone che si impegnano gratuitamente per gli altri all’interno di organizzazioni di volontariato, mentre altri 2 milioni e mezzo risultano impegnarsi “in proprio”. Un’ulteriore ricerca del 2015, condotta sulle 44mila associazioni censite dai Csv, nota che solo il 15% delle organizzazioni ha un numero di volontari superiore a 50 e circa il 10% ha una base di oltre 500 soci.
Tornando ai dati del censimento, il numero dei volontari è cresciuto del 39% rispetto al 2001, ma della stessa percentuale è aumentato il numero di dipendenti. Oggi in tutto il terzo settore lavorano oltre un milione di persone, quasi una ogni cinque volontari. In nessun campo del non profit i volontari superano i lavoratori, che anzi nell’istruzione sono più del doppio, in sanità più del triplo, in assistenza sociale più del quadruplo. Infine uno sguardo all’età e alla condizione socioeconomica dei volontari. Il 43,2% ha da 30 a 54 anni, il 36,8 % oltre 55 anni e solo il 16% da 19 a 29 anni. Se poi si guarda ai vertici delle organizzazioni l’età media sale ancora, con quasi due terzi dei presidenti oltre i 55 anni. Quanto alla condizione socioeconomica, tutte le ricerche sul tema indicano una propensione al volontariato molto maggiore nelle persone con reddito più alto e nel settore pubblico, dove il lavoro è garantito e la pressione nel quotidiano minore.
Oggi dunque il problema principale nel mondo della solidarietà gratuita sembra essere la progressiva estinzione del volontario “tipico” del passato: lavoratore con un reddito soddisfacente e tempo libero a disposizione o neopensionato ancora con tanta voglia di fare. Lo conferma Elias Gerovasi di Mani Tese, organizzazione storica del volontariato italiano: “Oggi i giovani si impegnano meno, non per indifferenza, ma perché stanno cercando un lavoro o quello che hanno è precario e non lascia tempo libero”. Però, continua, “c’è anche un aspetto culturale. I giovani non vogliono più legarsi a un’organizzazione specifica. Per coinvolgerli servono iniziative convincenti: per esempio c’è partecipazione nelle campagne pubbliche di sensibilizzazione, più vicine all’impegno politico. Per quanto riguarda il volontariato puro, noi organizziamo da nove anni l’impacchettamento dei regali di Natale nelle librerie Feltrinelli, che coinvolge per un mese più di 5mila persone in tutta Italia, in gran parte giovani. Ma finito quel periodo farli restare è una sfida veramente difficile”.