Il terremoto giudiziario che si è abbattuto sui massimi vertici del pallone non porterà a una reale rivoluzione: i candidati a prendere il posto del ras svizzero hanno curriculum e storia non illibata. Il rischio è che le inchieste significhino solo una sostituzione di nomi, non di sistema
Il 2015, cominciato con gli arresti di maggio che hanno fatto deflagrare il più grande scandalo della storia del calcio, e concluso pochi giorni fa con la squalifica per otto anni del presidente Fifa Sepp Blatter e del presidente Uefa Michel Platini, è stato l’annus horribilis del pallone, travolto dalla tempesta della corruzione del malaffare. Eppure, il 2016 non preannuncia schiarite all’orizzonte. Anzi, se come diceva Bob Dylan, non si ha bisogno di un meteorologo per capire in che direzione sta soffiando il vento, a osservare lo stato delle cose presenti si può ragionevolmente prevedere che non solo non si fermerà lo stillicidio di arresti e squalifiche, né si esauriranno le inchieste giudiziarie, ma verrà a mancare quel rinnovamento di persone e istituzioni necessario a restituire al gioco del pallone un minimo di credibilità. Mala tempora currunt, e di questi tempi cupi il calcio ne è specchio fedele.
L’anno nuovo si aprirà con il ricorso di Blatter e Platini alla Commissione d’Appello della Fifa, passo necessario al ricorso al Tribunale Arbitrale dello Sport (il giudizio ultimo dell’ordinamento giuridico sportivo) di Losanna, che si è già riservato lo spazio per discutere i loro casi entro il 26 febbraio: data in cui il Congresso Straordinario della Fifa convocato a Zurigo dovrà eleggere il nuovo presidente. Non si ricandiderà per il sesto mandato Sepp Blatter, il caudillo svizzero che per un ventennio ha controllato il calcio globale passando indenne attraverso ogni scandalo (vedi Isl: compagnia di marketing sportivo fallita nel 2001 che serviva per gonfiare i costi dei diritti tv e per spostare i fondi neri della Fifa) senza mai essere messo in discussione. D’altronde come discutere uno che ha sempre portato soldi e sponsor, e che nel quadriennio 2011-2014 ha regalato alla multinazionale svizzera un fatturato da 6 miliardi di euro? Non si ricandiderà Blatter, nonostante abbia concluso l’ultima conferenza stampa con un sibillino e spettacolare: “Tornerò”.
Non si candiderà nemmeno Michel Platini, la cui scalata, dopo un posto nel Comitato Esecutivo Fifa nel 2002 e la presidenza Uefa dal 2007, pareva inarrestabile. Un’ascesa al trono del calcio mondiale, sempre all’ombra del suo mentore Blatter, cominciata proprio in quel triennio 1999-2001, con la consulenza privata cui si riferisce quel pagamento da 2 milioni di franchi svizzeri fattogli da Blatter che oggi lo inguaia. Un pagamento arrivato dieci anni dopo, nel febbraio 2011, con una tempistica così sospetta – tra il voto del dicembre 2010 per Qatar 2022 e l’elezione di Blatter nel maggio 2011 – da far pensare agli inquirenti si trattasse di una maxi tangente. Non si candiderà Platini, perché se anche il Tas dovesse accogliere il suo appello, dopo un 2015 in cui tra maggio e dicembre ci sono stati una quarantina di arresti tra mammasantissima della Fifa e dirigenti delle varie compagnie di marketing sportivo ad essa collegate, un presidente con una condanna in primo grado di otto anni sarebbe un segnale pessimo anche per un governo del calcio così delegittimato.
Oltre a non candidarsi però, le Roi Michel dovrà riconsegnare anche la corona di presidente della Uefa, che ha già convocato un Congresso Straordinario a Zurigo il 25 febbraio, il giorno prima del Congresso Fifa. Non si deciderà certo in quell’occasione il nuovo presidente, ma si getteranno le basi perché sia eletto il 3 maggio a Helsinki, giorno del 39mo Congresso Uefa. Se non sappiamo ancora chi si candiderà alla guida del calcio europeo (Uefa), sono noti i nomi di chi il 26 febbraio vuole il comando del calcio mondiale (Fifa). E, tolti quelli che continuano a cadere come birilli, coinvolti nelle varie inchieste, nemmeno quelli che restano sono bei nomi. A cominciare da quel Gianni Infantino, il simpatico uomo dei sorteggi, il cui nome non appare mai nelle carte delle varie inchieste ma la cui collaborazione come braccio destro di Platini risale a molti anni orsono. Per non essersi accorto di quello che succedeva nelle stanze del potere, nella migliore delle ipotesi in tutto questo tempo Infantino stava dormendo.
L’altro nome è quello di Ali bin Hussein, principe di Giordania e vicepresidente Fifa, già candidato a maggio contro Blatter come uomo di Platini, che prefigurando la tempesta non era sceso in campo di persona, ora si sarebbe spostato nel campo di Ahmed Al Fahad Al Ahmed Al Sabah: potentissimo sceicco del Kuwait e lobbysta sportivo di professione, che agendo nelle retrovie già controlla il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) dove ha fatto eleggere Thomas Bach. Dulcis in fundo, ecco salire le quotazioni del candidato Salman Bin Ibrahim Al-Khalifa, presidente della confederazione asiatica Afc, che con la famiglia reale del Bahrein non condivide solo il lignaggio ma anche una certa propensione a torturare gli oppositori politici. Insomma, seguendo Bob Dylan è facile capire che alla presidenza della Fifa salirà un nome che non riporterà certo il calcio a essere lo sport pulito che non è mai stato.
Dopo gli arresti e le squalifiche del 2015, il 2016 sarà anno fondamentale anche per le inchieste penali che corrono parallele alle indagini interne della Fifa. Dopo una difficile coabitazione iniziale, la collaborazione tra il procuratore generale svizzero Michael Lauber, la sua omologa statunitense Loretta Lynch e il Federal Bureau of Investigation (Fbi), sembra finalmente procedere nel migliore dei modi. Le indagini partono dagli Stati Uniti anche per la mancata assegnazione dei Mondiali 2022, andati poi al Qatar, ma non solo: l’Fbi è stato infatti in grado di trovare in Chuck Blazer quel pentito che nessuna autorità giuridica europea ha voluto nemmeno cercare, e la procuratrice Lynch si è poi avvalsa della legge che le permette di indagare oltreoceano se transazioni bancarie sono state effettuate sul suolo americano. Sicuramente nello scandalo Fifa entrano in gioco discutibili ragioni di geopolitica, ma per una volta l’ingerenza americana, invece che intorpidire le acque, sta facendo luce su quel sistema criminale alle fondamenta del calcio che in troppi in Europa, per loro convenienza, hanno preferito ignorare.