I sindaci si sono rincorsi in queste settimane nell’emettere ordinanze le più colorite per cercare di tamponare l’inquinamento atmosferico galoppante in questo inverno-che-non-esiste, e si va così dalle immarcescibili targhe alterne, al divieto assoluto di circolazione, dai mezzi pubblici gratis o a tariffa ridotta, fino alla chiusura dei forni a legna (Comune di San Vitaliano). Il ministro Galletti ha dettato le linee-guida per cercare di limitare il disastro. Ma da dove deriva buona parte di questo inquinamento? Guardiamo un po’.
Secondo i dati Istat del 2011 (ultimo censimento in materia), sono quasi 29 milioni (48,6% della popolazione residente) le persone che ogni giorno effettuano spostamenti dal proprio comune per recarsi sul posto di lavoro o di studio, ed in dieci anni sono cresciute di circa 2,1 milioni. Circa due terzi dei residenti che quotidianamente si spostano lo fanno per motivi di lavoro, un terzo per raggiungere la scuola o l’università.
Per recarsi al lavoro o nel luogo di studio più di otto persone su dieci (84,2%) utilizzano un mezzo di trasporto. L’automobile resta la scelta più diffusa, la usa il 44,9% dei residenti come conducente e il 15,9% come passeggero. Soltanto il 13,4% opta per i trasporti pubblici (o privati) collettivi come treno, tram, metropolitana, corriera, il 3,5% ricorre ai mezzi a motore a due ruote (motocicletta, ciclomotore e scooter) e un altro 3,3% va in bicicletta.
Già, il pendolarismo. Praticamente, si può affermare che quasi tutto il traffico registrato nelle città è dovuto alle persone che sono costrette a spostarsi per ragioni di lavoro o studio. Ma sono davvero costrette? Esiste veramente sempre questa necessità di spostamento? Qualcuno ha mai sentito parlare di telelavoro?
Certo, il telelavoro non è applicabile per buona parte delle professioni, ma per coloro che da dipendenti vivono la loro giornata davanti al pc, non sarebbe meglio sia per loro, sia per la società, e forse anche per i loro datori di lavoro che svolgessero le loro mansioni od una parte di esse dentro le mura domestiche o comunque fuori dal classico ambiente lavorativo? Si ridurrebbero l’inquinamento atmosferico e l’usura dei mezzi e delle strade, si eliminerebbe lo stress degli spostamenti e, aspetto non secondario, i lavoratori avrebbero più tempo a disposizione per se stessi.
Secondo il Censis (dati del 2007, ma che sono sicuramente lievitati) i lavoratori pendolari italiani impiegano in media 72 minuti per gli spostamenti giornalieri di andata e ritorno, ovvero 33 giornate lavorative annue. Il che significa che i pendolari italiani trascorrono un mese e mezzo all’anno sui mezzi di trasporto solo per recarsi al luogo di lavoro e per tornare dallo stesso. Straordinario!
La normativa c’è, sia quella europea, sia quella italiana, e con il Jobs Act il telelavoro è stato ulteriormente incentivato.
Eppure nel 2013 l’Italia era il fanalino di coda in Europa, con una percentuale stimata fra il 2,3 ed il 5%. Stupefacente invece il dato dell’India, dove ben il 50% dei lavoratori opera da casa e in Indonesia il 34%.
Sembra che in Italia sia i sindacati sia le imprese non siano entusiasti di incentivare ed utilizzare il telelavoro. E poi sembra che faccia parte del comune sentire anche la sensazione che il telelavoro sia sminuente, che con esso si rinunci al confronto con gli altri, che con esso si limiti una possibile crescita professionale. Mah, per buttarla sul faceto, a me in realtà viene sempre in mente Fantozzi.