Il liquidatore dell'istituto valuta l'azione di responsabilità nei confronti di PriceWaterhouseCoopers, che ha avallato i bilanci. I commissari di Banca Marche lo hanno già fatto. Intanto i pm di Roma aprono fascicolo su Consob per mancato controllo. E dalla sentenza sul finanziamento dei progetti Milano Santa Monica e MiLuce emerge come è stata "messa a repentaglio la stabilità" della cassa emiliano romagnola
Il commissario liquidatore di Banca Etruria sta valutando la possibilità di chiedere risarcimenti non solo agli ex vertici della banca “salvata”, dall’ex presidente Lorenzo Rosi al vice Pier Luigi Boschi, ma anche alla società di revisione PricewaterhouseCoopers. Secondo Il Sole 24 Ore, che riporta la notizia, il liquidatore Giuseppe Santoni intende muoversi in scia a quanto fatto dai commissari di Banca Marche, che già lo scorso luglio hanno chiesto un rimborso da 182 milioni a Pwc. I cui revisori hanno certificato i bilanci dell’istituto dal 2007 al 2012 e il prospetto dell’ultimo aumento di capitale. Le svalutazioni per oltre 1 miliardo fatte nel 2014, è la tesi che Santoni vuol sostenere, dimostrano infatti che i bilanci non erano realistici e non davano conto in modo veritiero dei crediti deteriorati. Nel frattempo proseguono le indagini della procura di Arezzo sulle ipotesi di conflitto di interesse e truffa e, stando a quanto riporta Il Giornale, la procura di Roma ha anche aperto un fascicolo sull‘operato della Consob in seguito agli esposti per il mancato controllo presentati da Adusbef e Federconsumatori.
Questa richiesta di risarcimento andrebbe a sommarsi a quella da oltre 300 milioni depositata in estate dai commissari della Cassa di risparmio di Ferrara, salvata insieme a Etruria, Carichieti e Banca Marche con il decreto varato dal governo il 22 novembre e in seguito al quale gli obbligazionisti subordinati hanno perso tutto. Sul dissesto dell’istituto emiliano-romagnolo sono emersi intanto nuovi particolari. A fornirli sono le motivazioni della sentenza con cui a settembre la Quinta Corte d’Appello di Milano, nel processo di secondo grado ‘bis’, ha in parte dichiarato la prescrizione del reato di truffa e in parte l’assoluzione per non aver “raggiunto elementi sufficienti” nei confronti di Gennaro Murolo, ex direttore generale di Carife, degli imprenditori campani Dante e Luigi Siano, dei fratelli Aldo e Giorgio Magnoni del gruppo Sopaf ora fallito, di Sandro Bordigoni e di Mirko Leo, della Commerfin, riconducile agli stessi Siano. I giudici scrivono che con “una pluralità di truffe, integrate con il depauperamento delle disponibilità finanziarie di Carife”, già tra il 2006 e il 2008 sarebbe stata messa “addirittura a repentaglio la stabilità della banca“.
La vicenda ha al centro le operazioni immobiliari Milano Santa Monica e MiLuce finanziate dall’istituto di credito di Ferrara e dalla sua controllata Sgr Vegagest. La prescrizione riguarda l’episodio del progetto di edificazione chiamato Santa Monica che avrebbe dovuto essere realizzato a Segrate sull’area ex Cascina Boffalora, tramite il fondo chiuso Aster, mentre l’assoluzione è arrivata per il progetto MiLuce che avrebbe dovuto sorgere a Milano sull’area Adda/Pirelli, tramite il fondo Calatrava. Secondo l’inchiesta condotta dal pm milanese Gaetano Ruta, titolare delle indagini che riguardano Sopaf e con le quali questa su Cariferrara è collegata, al centro della vicenda ci sono “due complesse operazioni di finanziamento” di progetti immobiliari da parte della banca ora salvata, che risalgono al 2006-2008 e che, non andate a buon fine, dopo un’ispezione di Bankitalia portarono ad azzerare gli organi societari e alla nomina di un commissario.
Tra le varie contestazioni c’è il fatto che le società immobiliari riconducibili ai Siano, Magnoni e Bordigoni hanno ricevuto dalla banca i finanziamenti per poter comprare quote dei due fondi immobiliari creati da Vegagest. Nel caso Santa Monica, poi, sarebbe stata Carife, con il fondo Aster, a comprare dai Siano il terreno su cui costruire il complesso immobiliare Santa Monica. Un terreno che il gruppo Commerfin degli imprenditori campani aveva pagato nel 2002 poco più di 12 milioni di euro e che invece venne acquistato dall’istituto di credito per 117 milioni, con una “rivalutazione ritenuta incongrua“. Ciò, tra l’altro, avrebbe consentito agli imputati di realizzare “plusvalenze” (17 milioni per i Magnoni e Bordigoni) le quali, in conclusione, sarebbero state “finanziate interamente” dall’istituto di credito grazie anche alla complicità dell’ex direttore generale e vice presidente di Vegagest, Murolo. Per MiLuce, ricostruisce la Corte, il terreno sarebbe stato acquistato da Vegagest per 40 milioni senza “alcuna perizia indicativa del valore commerciale dell’area”.
In questo quadro, scrivono i giudici, emergono “una pluralità di truffe, integrate con il depauperamento delle disponibilità finanziarie di Carife (…) attraverso numerosi artifici (…) consistenti, nell’insieme, nell’operare continui e stratosferici finanziamenti a favore dei quotisti del fondo Aster, persino ai quotisti uscenti”. Esborsi di denaro tali da “debordare dai limiti consentiti” e da “mettere addirittura a repentaglio la stabilità” dell’istituto di credito.