Dicono che giova a destrutturare pregiudizi e prospettive superate. E guai se qualcuno osa timidamente sostenere che queste pratiche non hanno alcunché di educativo. O che se rivolte a un bambino gli trasmettono solo confusione e smarrimento, non certo formazione e rispetto.
Subito la santa inquisizione del politicamente corretto tuonerà con la categoria di omofobia, silenziando ogni prospettiva non allineata con il virtuoso coro del politicamente corretto. Ciò che si può dire è già deciso: e i tanti che credono di servire il progresso e lo sviluppo dell’umanità ripetendo gli slogan del pensiero unico sono solo l’analogo del gregge degli ultimi uomini di nietzscheana memoria, cultori ignari della loro stessa schiavitù, lottatori in difesa delle loro stesse catene.
Guai, poi, se qualcuno oserà affermare che l’educazione e il rispetto delle alterità si insegnano senza offendere i simboli delle culture e delle religioni. E magari anche senza scadere nel ridicolo, secondo modalità che – è il caso dei re magi in versione femminile – paiono appositamente escogitate per contrastare e ridicolizzare e non certo per aiutare la causa degli omosessuali e la loro giusta richiesta di riconoscimento.
Tutto questo – per chi ancora non l’avesse capito – è l’incontrovertibile dimostrazione di quanto da tempo vado sostenendo: il fanatismo economico e il monoteismo del mercato non hanno alcun interesse reale al riconoscimento e all’integrazione degli omosessuali, poiché in realtà mirano esclusivamente alla desimbolizzazione integrale e alla distruzione dell’eticità borghese e proletaria, strutturalmente incompatibile con il mondo del consumismo assoluto e della mercificazione onnipervasiva.
La cosiddetta teoria del gender ne è l’esempio massimo: apparentemente aspira a promuovere tolleranza e rispetto, di fatto neutralizza le identità e produce il profilo dell’individuo unisex ritagliato su misura per il consumo, senza identità e senza spessore critico. Proprio come il falso multiculturalismo della mondializzazione, che chiede ai popoli di rinunciare alla propria identità per rispettare quelle altrui e così facendo genera lo spazio vuoto del mondo liscio e desimbolizzato, in cui il solo valore è quello di scambio, la sola comunità è il centro commerciale e il solo simbolo è il danaro.
Le lotte omosessuali sembrano oggi a un bivio, lo stesso bivio a cui si trovano in generale le lotte per i diritti civili: possono dare voce a una grammatica unificata del conflitto contro il capitale, e dunque diventare parte di una lotta corale degli offesi del pianeta in nome dell’instaurazione di rapporti comunitari tra liberi e uguali, in cui eterosessuali e omosessuali, bianchi e neri, donne e uomini siano egualmente liberi e riconosciuti. Possono cioè diventare voci dell’unica grande koiné contro il capitale.
Oppure possono rifluire nelle tante voci del dissenso individualizzato, che frantuma la coscienza di classe disperdendola nei mille rivoli dei molteplici micro-conflitti, creando false antitesi (bianchi-neri, omo-gay, ecc) che occultano la vera antitesi (servo-signore, capitale-lavoro, alto-basso) e spostano lo sguardo dall’umanità come soggetto unitario e indiviso; che, di più, fanno sì che l’attenzione si concentri sempre solo sull’individuo isolato atomisticamente, pensato come ‘proprietario’ di diritti e di libertà, secondo una concezione che si configura come il mero raddoppiamento del mercato capitalistico. Ciò che finisce, paradossalmente, per portare ancora una volta acqua al mulino di monsieur le Capital. Proprio come è appunto avvenuto in Spagna.