Le Tre Rose di Casale Monferrato, dopo qualche mese di attesa, hanno iniziato a scendere in campo nel Girone 1 della Serie C regionale grazie al via libera di Coni e Fir (c'è un tetto agli stranieri): l'80% della rosa è composta da migranti. Nelle prime uscite solo sonore sconfitte
Placcaggi, mischie e palla ovale per l’integrazione: a Casale Monferrato è nata la prima squadra italiana di rugby formata da rifugiati. Grazie a una deroga concessa dalla Federazione, Le Tre Rose schierano in campo una formazione composta quasi interamente da stranieri. La Fir ha deciso di chiudere un occhio sul regolamento per permettere a questi ragazzi di avere un’occasione in più di inserimento sociale; in cambio il club rinuncerà alla possibilità di promozione. Non è stato semplicissimo ottenere il via libera. Quando il 18 ottobre il Girone 1 della Serie C piemontese è iniziato, la squadra di Casale Monferrato è rimasta al palo, senza scendere in campo per i primi 5 turni. La volontà delle istituzioni di favorire il progetto c’è sempre stata (e lo dimostra il fatto che le partite siano state sempre rinviate, e non date perse a tavolino), ma le norme dello statuto rappresentavano un ostacolo non di poco conto: in Serie C, infatti, esiste un limite di uno straniero in lista gara. Una regola pensata per favorire i vivai e lo sviluppo del movimento italiano, ma che in questo caso tarpava le ali all’iniziativa della società piemontese.
A disposizione del mister Luca Patrucco, infatti, c’è un gruppo multirazziale, composto all’80% dai migranti della cooperativa Senape di Mirella Ruo e da qualche vecchio giocatore locale. Giovani, provenienti in gran parte dall’Africa, scappati dalla guerra e dalle persecuzioni e alla ricerca di un futuro migliore in Italia. Magari anche grazie alla palla ovale: alcuni di loro non l’hanno mai presa in mano (e in campo a volte si vede), ma nel rugby possono trovare un momento di riscatto. L’idea è venuta la scorsa estate al presidente Paolo Pensa. “Lavoriamo dall’anno scorso con questi ragazzi che vengono da Paesi e condizioni sociali difficili, e quest’anno abbiamo deciso di aggregarli stabilmente alla prima squadra”, ha spiegato il patron.
Per farlo, serviva l’ok del Coni e della Federazione, che si sono palleggiate per un paio di mesi la questione prima di concedere il via libera. Così finalmente a dicembre la squadra ha potuto debuttare nel torneo: esordio difficile contro l’Acqui Terme, una delle corazzate del girone, e punteggio pesante di 7-85. La soddisfazione, però, della prima meta. “E soprattutto di giocare: già essere qui è un miracolo”, ha detto l’allenatore. È andata un po’ meglio al secondo tentativo: 0-37 contro il Novi Ligure. Ma la vera avventura comincerà adesso, ora che con la sosta natalizia i ragazzi hanno potuto allenarsi e fare gruppo con la certezza di disputare il campionato.
Certo, schierare una squadra di quasi tutti stranieri va contro le regole della stessa Federazione. “Ma il nostro primo impegno è quello di promuovere il gioco del rugby, ed attraverso la pratica sportiva far conoscere quei valori che sono tipici del nostro sport”, ha detto il presidente Fir, Alfredo Gavazzi. “Il sostegno e la solidarietà per i compagni sono senza dubbio tratti caratterizzanti del rugby e perciò abbiamo accolto la richiesta de Le Tre Rose”. La società, per conto suo, ha rinunciato alla possibilità di promozione: anche se dovesse classificarsi nelle prime posizioni, non disputerebbe i playoff per salire in Serie B. In realtà, un rischio che la squadra non sembra correre: “La conoscenza del rugby di questi ragazzi è, in alcuni casi, ancora relativa”, aggiunge il presidente Pensa. E lo dimostrano i primi punteggi. “Ma la gioia dello scendere in campo, il senso di integrazione che indossare la maglia insieme ai propri compagni regala, vale più dei risultati”. Per quelli, d’altra parte, c’è sempre tempo: la prima meta è già stata segnata, presto insieme all’integrazione magari arriveranno anche le vittorie.