Un paradosso, se si considera che un detenuto ha un costo per la collettività di circa 130 euro al giorno. E io pago! Salvini, Del Debbio, Paragone dove siete?
Il codice penale prevede, per i detenuti di origine extra comunitaria che abbiano una pena residua da scontare nel nostro Paese inferiore ai due anni, il provvedimento di espulsione dal territorio nazionale, con il divieto di farvi ritorno per dieci anni. E’ una misura che in un certo senso bilancia i diritti, consentendo a coloro che in Italia non dispongono di una abitazione, di accedere alla misura alternativa. Fin qui la teoria.
Nella pratica, invece, avviene che il condannato – in vista della maturazione del termine – deve proporre istanza al magistrato di sorveglianza competente per territorio, il quale emette il provvedimento ed ordina al Questore di darne corso, “accompagnando lo straniero alla frontiera”; in sostanza la Questura si deve occupare del reperimento del volo diretto verso il Paese d’origine dell’espulso, provvedere al biglietto (con le risorse del ministero degli Esteri) e concludere la pratica.
Nel meccanismo qualcosa si inceppa sistematicamente, così accade che lo straniero in possesso delle condizioni per ottenere l’espulsione debba attendere mesi prima che venga emesso il provvedimento; una volta che finalmente l’ordine sarà stato firmato, trascorreranno ancora molte settimane prima che venga prelevato dalla Polizia ed accompagnato all’aeroporto. Se tutto va bene. Altrimenti il malcapitato verrà “momentaneamente” appoggiato presso un Cie (centro di identificazione ed espulsione) dove passeranno ancora alcune settimane prima che possa definitivamente abbandonare il Bel Paese, magari a causa dei furbetti di Roma Capitale che ave-vano tutto l’interesse a prolungare la permanenza nei centri che gestivano direttamente.
Si tratta di una situazione che coinvolge in modo particolare quegli istituti, come Busto Arsizio, che “soffrono” della vicinanza con aeroporti internazionali e vengono alimentati dall’arrivo quotidiano di corrieri della droga provenienti dal centro– Sud America e dal Nord Africa.
Detenzioni verso le quali è complicato attuare i dettami costituzionali laddove occorrerebbe rieducare, istruire e reinserire socialmente. Nella maggior parte dei casi si tratta di disperati che non hanno alcuna intenzione di permanere ed integrarsi nel nostro Paese ed attendono solamente il momento dell’espulsione per poter fare ritorno a casa propria. Sorge anche il dubbio legittimo sull’utilità del “trattamento” rieducativo con conseguente impiego di risorse economiche che provengono dalle solite “tasche dei cittadini”. Ma questa è un’altra storia, ed in ogni caso è un assist ben piazzato a Salvini.
In termini di numeri, questa zona grigia, nella quale c’è un vuoto di coordinamento e responsabilità, rappresenta un’assurdità: un biglietto aereo verso il più lontano dei Paesi non può costare più di un migliaio di euro, mentre la permanenza nelle patrie galere ha un costo certo di almeno 3.900 euro al mese. Ottemperare ad un obbligo non è solo questione di diritti, ma anche di vil denaro. Un bel tema per i chiacchieroni dei talk show che irrompono tutte le sere in tv e invitano le istituzioni a limitare gli sbarchi di clandestini, con le piazze che rivendicano sicurezza per i poveri italiani e abolizione dei campi rom.
Solo in Lombardia sono 3.553 gli stranieri che si trovano in carcere, su un totale di 7.700 persone, a fronte di una capienza regolamentare pari a 6.133 posti. Perché non cominciare a fare “Piazzapulita” della burocrazia che rallenta l’espulsione dei tanti immigrati che riempiono le nostre carceri?
di Claudio Bottan