Nei giorni in cui il mondo del fumetto si stringe attorno alle vittime (e ai superstiti) degli attentati alla redazione di Charlie Hebdo, una scottante polemica colpisce la 43esima edizione del Festival International de la Bande Dessinée d’Angoulême, tra i più prestigiosi festival europei dedicati alla “nona arte”. Nella giornata di martedì, infatti, il Collectif des creatrice de bande dessisée contre le sexism ha invitato al boicottaggio della manifestazione, che dal 28 al 31 gennaio assegnerà tra gli altri l’ambito Grand Prix. Il motivo? L’assenza di nomi femminili nella lista dei trenta candidati in lizza per la vittoria del celebre “premio alla carriera” 2016.
La mancanza di quote rosa ha così provocato lo scontento del Collettivo anti-sessista, che in un comunicato apparso sul proprio blog ha annunciato di protestare “contro questa discriminazione evidente, questa negazione totale della nostra rappresentanza in un campo in cui lavorano sempre più donne”, rivendicando inoltre come “in 43 anni di festival l’unica donna a vincere il premio è stata Florence Cestac (edizione del 2000 nda)”. All’appello hanno immediatamente aderito nomi noti del fumetto mondiale – tra questi Joann Sfar, Etienne Davodeau, Christophe Blain, François Bourgeon, Pierre Christin, Daniel Clowes, Charles Burns, Chris Ware e Milo Manara– i quali, oltre ad esprimere vicinanza alle colleghe, hanno annunciato di rinunciare alle proprie candidature.
La presa di posizione dei fumettisti sopracitati deve avere imbarazzato non poco gli organizzatori della manifestazione i quali, con un comunicato dal titolo controverso “Il Festival ama le donne… ma non può riscrivere la storia dei fumetti”, respingendo al mittente ogni accusa di sessismo, hanno reso noto che ai trenta papabili vincitori sarebbero andate ad aggiungersi autrici donne. E così è stato. I nomi di Lynda Barry, Julie Doucet, Moto Hagio, Chantal Montellier, Marjane Satrapi e Posy Simmonds nella mattina di giovedì sono andati a integrare la lista dei “fantastici trenta”, placando la rabbia iniziale del Collectif.
Accantonata la polemica resta tuttavia lecito domandarsi se di discriminazione vera e propria si possa parlare. Se è vero che la lista dei trenta candidati fosse praticamente ineccepibile (oltre ai sopracitati “dissidenti” vi facevano parte nomi del calibro di Frank Miller, Alan Moore, Stan Lee, Jiro Taniguchi), quanto dichiarato dal direttore del Festival Franck Bondoux (“ci sono poche donne nella storia del fumetto”) riflette una visione maschio-centrista anacronistica che, nel corso degli anni, è stata più volte confutata da ricerche che hanno riconosciuto l’importanza del contributo offerto dalle donne, non solo nel ruolo di super-eroine, ma in quello ben più nobile di disegnatrici.
Se poi si chiamassero in causa le nostre raggrinzite memorie autrici che hanno fatto la storia dei balloons non tarderebbero certo ad arrivare. Dalla regina del manga Rumiko Takahashi alla caustica vignettista francese Claire Bretécher, passando per la nostra compatriota Vanna Vinci (autrice de La bambina filosofica e di Sophia), Lynn Varley (ex moglie e collaboratrice di Frank Miller), la marveliana Kelly Sue DeConnick, Gail Simone (a cui dal 2007 la Dc ha affidato la terza serie di Wonder Woman) e l’Anke Feuchtenberger di Quando muore il mio cane – solo per citarne alcune (ma ce ne sarebbero ancora e ancora)– il mondo del fumetto si svelerebbe più rosa di quanto si è soliti farlo apparire.
Quel che resta vero, tuttavia, è la difficoltà che le donne continuano ad avere nel farsi spazio all’interno del mondo delle arti e proprio in tal senso la lotta del Collectif rappresenta una grande vittoria. L’auspicio è che d’ora in avanti il trattamento riservato a uomini e donne possa essere il medesimo, premiando il merito e non agendo per compassione. Nel fumetto così come in ogni altro aspetto delle nostre vite. Siamo pur sempre nel 2016…