In questi giorni si parla molto, troppo, del rapporto, esistente o presunto, tra qualità e successo. Il motivo, ahinoi, è la stupida polemica che ha imperversato sui social riguardo al boom di biglietti venduti da Quo vado di Checco Zalone. Non è nostra intenzione tornarci su. Ma le fazioni, in due parole, si dividono tra chi dice che è triste che a aver successo sia una commedia comica e chi dice che se la commedia comica ha successo allora vuole dire che è di qualità.
Qualità e successo, quindi. Spesso le due parole non hanno trovato asilo nella stessa frase. Anzi, spesso il successo è stato trovato per motivi che con la qualità hanno poco a che vedere, troppo lunga la lista di prodotti mass market scadenti ma blockbuster. Esistono ovviamente delle eccezioni, e la più frequentemente utilizzata da chi sostiene che il successo può sposarsi con la qualità, in genere, è Michael Jackson. Come negare, infatti, che Jacko abbia venduto milioni e milioni di album, che sia considerato a distanza di anni dalla morte il Re del Pop e che sia stato, appunto, un artista di immense qualità?
Riprova ne è l’ultimo record portato a casa da Jackson: i trenta dischi di platino conquistati per Thriller, uscito nel 1982 e, con le sue trenta milioni di copie, l’album più venduto della storia. Certificazione giunta dalla Recording Industry Association of America (RIAA) a fine 2015. Non solo, Thriller è, a oggi, l’album vincitore del maggior numero di Grammy, otto, e quello rimasto in testa alla classifica per il maggior numero di settimane, trentasette (nella Billboard 200, classifica nella quale è rimasto per oltre due anni di fila).
Ma non basta, Thriller è, e qui sta il motivo della lunga premessa, universalmente riconosciuto come uno dei capisaldi del genere Urban, grazie al genio di Jackson e del produttore Quincy Jones, in stato di grazia dietro alle macchine. Le influenze di questo album sono tutt’oggi presenti in quelli che vengono indicati come gli album più interessanti del mondo pop e black, in buona compagnia con alcuni lavori di Prince, non ultimo il lodatissimo To Pimp a Buttefly di Lamar Kendrick. Il capitolo video, poi, meriterebbe un articolo a parte.
Nei fatti, i trenta dischi di platino non dimostrano certo che avere successo significhi essere di qualità, ma negano l’assioma che piacere alla massa equivalga a essere di scarso valore artistico. Con buona pace dei leoni da tastiera.