Il Tg dell’ora di cena (da noi è quello delle ore 20) è, da quando esiste il flusso dei canali televisivi, il “parametro d’aggiornamento” rispetto al quale i cittadini/spettatori registrano gli eventi notevoli (il “cosa accade”) in quanto lista, gerarchia e interpretazione (da qui la parte essenziale svolta dalla identità della testata, cioè da quel “ti conosco mascherina” attraverso cui ogni spettatore filtra la narrazione soi disant obiettiva di ciascun notiziario). L’andamento di queste platee risente, ovviamente, di quel che accade nelle profondità del Paese.
Gli spettatori di Tg1 e Tg5 sono arrivati nel 2001 a quasi 13,5 milioni (di cui 7,2 mln del Tg1 e 6.5 milioni, del Tg5). Nel frattempo il duetto è diventato terzetto per l’aggiunta del Tg7, ma la torta dell’ascolto si è rimpicciolita a 10,6 milioni. Certamente il dato globale risente della concorrenza di altre fonti (online, All News) è nel confronto fra le tre sigle che si leggono le cose più interessanti.
L’anno cruciale è, da questo punto di vista, il 2010 quando la platea dei tre Tg ha un sussulto e raggiunge i 12 milioni. Merito di Mentana, che arriva proprio in quell’anno? Di certo il suo Tg7 strappa pezzi di pubblico agli altri e ne attira una quota nuova. Ma attenzione a non scambiare la causa con l’effetto! La causa di quel non piccolo maremoto dell’auditel non stava nelle redazioni, ma nel Paese e ci sembra di poterla fissare in tre eventi: il primo, tutto politico, è la scissione di Fini, che pur con tutti i seguenti contorcimenti fino a Razzi e Scilipoti, ha segnato la rottura del blocco della Destra; il secondo, tutto d’opinione, la manifestazione Se non ora quando (gennaio 2011) che, anche grazie alla precedente rottura finiana, saldava un fronte trasversale e, finalmente, maggioritario rispetto al cosiddetto “berlusconismo”; il terzo, tutto economico, misurato dallo spread.
Il Tg1 di Minzolini e il Tg5 furono presi in contropiede da ognuno di questi eventi col risultato di perdere in poco più di un anno 1,6 milioni di spettatori, finiti tutti al Tg7 che non appariva né di destra né di sinistra, ma “diverso”, per l’attenzione al nuovo e per lo sforzo di narrarlo cercandone il filo.
Dopo allora le acque si sono ritirate, tant’è che i tre Tg messi insieme, oggi si fermano, come dicevamo, a 10,6 milioni di spettatori, ben 1,5 milioni sotto il picco del 2011. Ma, mentre il Tg5 ha continuato a rimpicciolire giungendo nell’anno passato al minimo storico di 4 milioni di spettatori, e mentre il Tg7, passato il boom di circostanze che l’avevano portato oltre i due milioni, naviga ora poco sopra il milione (misura più consona alla effettiva portata della rete che lo ospita), il Tg1, sorpresa delle sorprese, che a partire dal 2012 ha cambiato linea tornando a un aplomb più istituzionale, ha cominciato, gradualmente a risalire.
Insomma, a giudicare da questi numeri, sembra chiaro che l’Italia dei Tg ha avuto effettivamente una sua catastrofe politico-culturale. Ma pare altrettanto chiaro che non siamo dentro una “catastrofe continua” bensì all’interno di spinte verso un nuovo equilibrio dove la “istituzione” (quella televisiva di sicuro, ma di certo anche quella statuale) pare in grado di riprendere piede. Se appena fa attenzione a dove lo poggia.