Silvio Berlusconi, si dice, conquistava la politica comprandosi uomini e cose. Ma almeno lo faceva con i suoi soldi. Giuseppe Sala, invece, ha distribuito a Milano milioni di euro, ad aziende, professionisti, personalità, intellettuali, artisti, “ambassadors”, fondazioni, giornali, tv… Ed erano soldi di Expo, cioè nostri. Ora che si candida a fare il sindaco della città, quei soldi pesano inevitabilmente sulle scelte di chi fa opinione o deve farsi un’opinione per decidere chi votare e chi sostenere.
Sala gode insomma – a differenza degli altri candidati alle primarie milanesi – di un “finanziamento pubblico” immenso, milioni di euro che ha distribuito a pioggia e in maniera discrezionale, denaro che sfugge ai radar dei controlli e che resterà fuori dai rendiconti della campagna elettorale. Una campagna elettorale truccata, viziata dalla presenza di un competitor che gode di un patrimonio di consenso (un tempo si sarebbe detto anche di clientela) accumulato in cinque anni di lavoro al vertice di Expo.
A questo si deve aggiungere la molto italiana gara a saltare sul carro del vincitore, o almeno di chi è considerato il vincitore. Stiamo assistendo a scene penose. Le più tristi riguardano il cosiddetto “movimento arancione”, ovvero i senzapartito che sono stati portati da Giuliano Pisapia in giunta a fare gli assessori. Da soli non sarebbero andati da nessuna parte, anche perché il “movimento” non erano loro, ma i cittadini che sostenevano con entusiasmo Pisapia e la sua promessa di rinnovamento.
Senza “Giuliano” (così chiamano il loro sindaco) sarebbero tornati a fare il loro mestiere, se ne hanno uno. Sono passati cinque anni dall’arcobaleno comparso a sorpresa in piazza Duomo il giorno della vittoria. Il movimento non c’è più e l’arancione è rimasto solo un colore di bandiera, puro marketing. Tre o quattro assessori hanno tradito il loro “Giuliano” per continuare ad avere un assessorato. Tradito è una parola troppo grossa? Boh, non me ne viene un’altra più appropriata. Chiara Bisconti, solo per fare un esempio: era un oscuro direttore del personale della Sanpellegrino, gruppo Nestlè.
Esce dall’anonimato grazie a Pisapia che la chiama a fare l’assessore allo Sport. Anzi: grazie alla moglie di Pisapia, la giornalista Cinzia Sasso, che ne fa il ritratto in uno dei suoi libri dedicati alle donne manager. Ora, folgorata sulla via di Rho-Pero, è diventata un’accanita sostenitrice del “collega manager” Beppe Sala. Così altri suoi colleghi “arancioni”. Come Cristina Tajani, che pure dovrebbe essere di Sel, eppure si è messa a disposizione di “Beppe” (li chiamano tutti per nome) insieme a suo marito, il direttore scientifico della Fondazione Bassetti, Francesco Samorè.
Stessa folgorazione per Ada Lucia De Cesaris, ex vicesindaco, entrata in collisione con “Giuliano”, da cui sperava di essere indicata come il successore e che ora spera di rientrare in gioco grazie a Sala. Insomma, la politica spesso si intreccia con la vita privata, con le aspettative e i risentimenti. Almeno gli altri assessori schierati con “Beppe” – da Carmela Rozza a Pierfrancesco Maran – sono coerenti: sono del Pd, sostengono il presidente-segretario Matteo Renzi, dunque sono convinti che Sala sia la soluzione giusta per Milano. Non si curano dei suoi conflitti d’interesse; né della sua mancanza di trasparenza su ingressi e bilanci Expo; né delle sue inadeguatezze manageriali segnalate da Anac, Audit, Avvocatura dello Stato, Comitato antimafia; né del piccolo particolare che non si sia neppure accorto, prima degli arresti, che i suoi più stretti collaboratori rubavano. E ora vorrebbero che facesse il sindaco…
Il Fatto Quotidiano, 8 gennaio 2016