Quattro squalifiche a dirigenti apicali, di cui tre radiazioni. E la sensazione che sia solo l’inizio. Lo scandalo doping nell’atletica leggera comincia a fare vittime. Dopo la pubblicazione del report della Wada (l’agenzia antidoping mondiale), anche la Federazione internazionale (Iaaf) prende provvedimenti: Papa Massata Diack (figlio dell’ex presidente Lamine, consulente di marketing), Valentin Balakhnichev (ex tesoriere Iaaf ed ex presidente della Federazione russa), Alexei Melnikov (ex responsabile della marcia russa) sono stati bannati a vita, Gabriel Dollé (ex responsabile antidoping Iaaf) è stato squalificato per cinque anni.
L’inchiesta del Comitato Iaaf parte da lontano, da una denuncia ricevuta nell’aprile del 2014, e corre su binari paralleli a quella della Wada, per arrivare più o meno alle stesse conclusioni: l’esistenza di un sistema – ideato ed orchestrato addirittura dal figlio dell’ex presidente Diack – per permettere agli atleti dopati di continuare a gareggiare, in cambio di denaro. La Russia – sospesa a tempo indeterminato e a rischio partecipazione alle prossime Olimpiadi – ricattata dai vertici della Iaaf per coprire i casi di positività e anomalie nei passaporti biologici. I risultati delle gare profondamente alterati. Certo, sarebbe riduttivo vedere Mosca come semplice “vittima” del sistema (e lo dimostra il livello di perfezionamento di frode messo appunto nei laboratori antidoping). Ma, con un buon grado di complicità e compartecipazione, c’è stata anche estorsione: pagamenti da centinaia di migliaia di dollari, tutti tracciati e documentati, dagli atleti alla Federazione e dalla Federazione alla Iaaf. Solo Liliya Shobukhova, tre volte vincitrice della Maratona di Chicago, ha sborsato circa 500mila dollari nel corso degli anni. Almeno sei gli atleti incriminati: oltre alla Shobukhova, Valeriy Borchin (oro nei 20 km di marcia a Pechino 2008), Sergey Kirdyapkin (oro nella 50 km a Londra 2012), Olga Kaniskina (tre titoli mondiali) Yevgeniya Zolotova e Vladimir Kanayakin.
In questo quadro, che coincide con quello dipinto dalla Wada e lo arricchisce di ulteriori dettagli, gli indagati hanno avuto ruoli diversi: Massata Diack, figlio dell’ex numero uno mondiale già al centro di mille inchieste, quello di “gran cerimoniere”; Valentin Balakhnichev e il tecnico Alexei Melnikov hanno al contempo lavorato attivamente per coprire le positività nei laboratori russi e ricattato i loro stessi atleti; Gabriel Dollé è responsabile solo di “omissioni” e per questo la sua sanzione è ridotta. Non sfugge, però – come nota la stessa Iaaf in un comunicato ufficiale di commento alla sentenza – che tutti gli squalificati sono degli “ex”: “Queste quattro persone trovate colpevoli e condannate da tempo non hanno più nulla a che fare con la Iaaf”, scrive il presidente Sebastian Coe. Più facile colpire chi è già uscito di scena. Per questo l’attenzione si sposta su quanto deve ancora succedere.
Una delle parti più interessanti del documento di 170 pagine del Comitato è quella in cui si riporta la presunta confessione di Balakhnichev al viceministro dello Sport russo, Yury Nagornyh: “Il sistema è in atto non solo in Russia, ma potenzialmente in molti altri Paesi, come ad esempio Marocco e Turchia”. Una conferma delle voci che si moltiplicano da settimane sul coinvolgimento di altre nazioni (il nome della Turchia non è nuovo). Non è un mistero, del resto, che quanto rivelato fino ad oggi sia “solo la punta dell’iceberg”: lo aveva detto esplicitamente il capo della commissione Wada, Dick Pound.
E la palla adesso torna proprio all’agenzia antidoping mondiale: quanto divulgato a novembre rappresenterebbe solo la prima parte del dossier. “Non solo la Russia e non solo l’atletica”, c’era scritto in quelle carte. La seconda parte, forse addirittura più sconvolgente, potrebbe essere pubblicata la settimana prossima. Mentre in Francia avanza l’inchiesta penale. Il terremoto è appena iniziato.