I 19mila soci delle cooperative di Udine e Trieste finite in concordato rivedranno solo una parte dei loro 129 milioni. E' un assaggio della prossima bomba pronta a scoppiare: quella dei 12 miliardi di risparmi su cui nessuno vigila. Via Nazionale si è tutelata avviando una consultazione sulla modifica delle norme, così potrà dire di aver segnalato il problema
Lo scaricabarile messo in scena dalle autorità pubbliche sulle celebri obbligazioni subordinate di Banca Etruria e compagnia è pronto a replicarsi su una bomba innescata che politici, magistrati e vigilanti vari fingono di non vedere: il “prestito sociale” della Coop, 12 miliardi di risparmi su cui nessuno vigila, nemmeno San Cantone. Il 31 dicembre scorso è defunta la CoopCa, che gestiva una quarantina di supermercati in Carnia. Tremila soci le avevano affidato risparmi per 27 milioni. Recupereranno una parte chissà quando. Nelle stesse condizioni 16 mila risparmiatori che a Trieste avevano depositato 102 milioni alla Coop Operaie.
Notate un dettaglio: il gigante Coop Alleanza 3.0 ha promesso di coprire con un “atto di liberalità” metà delle perdite dei soci CoopCa, disinteressandosi dei fornitori e di centinaia di lavoratori rimasti per strada. Strano: il prestito sociale, dice Legacoop, finanzia l’attività e quindi è per definizione un investimento a rischio, più delle stesse subordinate. Eppure la proposta di concordato preventivo che la CoopCa si è vista omologare dal tribunale di Udine prevede per i titolari del prestito sociale un rimborso superiore ai fornitori. Proprio come se si trattasse dei depositanti di una banca. Nessuno (il governo, la governatrice Debora Serracchiani, Bankitalia) fiata.
Il caso Coop è, dal punto di vista delle regole, più grave di quello delle obbligazioni bancarie. Nei 1.189 supermercati affiliati a Legacoop funziona una vera e propria banca, che raccoglie i risparmi di 1,2 milioni di soci. Siccome però questa banca non si chiama banca, Bankitalia non la vigila. Qui ci addentriamo nella suprema arte della supercazzola bancaria. Chi fa una banca senza l’autorizzazione della Banca d’Italia commette un reato di cui Bankitalia non si interessa. Due anni fa, a specifico quesito del Fatto, gli spin doctor del governatore Ignazio Visco offrirono questa risposta: “L’esercizio abusivo dell’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico è un reato penale il cui accertamento e la cui repressione sono affidati alla magistratura e alle forze di polizia”.
Al presidente dell’Adusbef Elio Lannutti, che il 28 ottobre 2013 ha presentato un esposto, la Vigilanza ha fatto sapere di aver “assunto le iniziative reputate doverose”. In seguito Bankitalia ha rivendicato di aver interessato “l’Autorità inquirente” per due segnalazioni ricevute nel 2014. Prendete nota: Visco ha segnalato alla magistratura (senza effetto noto) due casi di banche abusive, presumibilmente Coop, ma non dice quali sono, anche se ci sono 1,2 milioni di soci Coop che, tenendoci i loro risparmi, gradirebbero saperlo e forse, Dio li perdoni, ne avrebbero diritto.
Anche Legacoop fa finta di niente. Il governo Renzi ha imposto per legge l’obbligo per le Coop di pubblicare il bilancio sul sito web ma Unicoop Firenze, la più grossa di tutte, ha deciso di fregarsene. Il sistema ha risposto ai crac di Trieste e Udine con modifiche omeopatiche ai regolamenti. Nell’ultimo rapporto di settore il presidente dell’Ancc-Legacoop, Stefano Bassi, parla del Bataclan ma non dei due crac a marchio Coop. Le norme Bankitalia vietano ai soggetti non bancari i “depositi a vista” (ritirabili con preavviso inferiore alle 24 ore). Le Coop hanno tolto dai loro siti la formula “depositi a vista” sostituendola con “preavviso di almeno 48 ore”. Però, dice il nuovo regolamento “foglia di fico”, “la Cooperativa, qualora ne abbia la disponibilità, può, di volta in volta, rimborsare anche prima del termine suddetto”. Su questa frase la Vigilanza si è costituita l’alibi a futura memoria.
La linea ufficiale è di non vedere che nei punti Coop una banca di fatto gestisce 12 miliardi di risparmi, alla luce del sole. Bastano due argomenti: ufficialmente il prestito sociale è raccolto per finanziare l’attività, eppure viene investito quasi tutto in titoli finanziari; in più è depositato in libretti sui quali il socio Coop, giunto alla cassa, può addebitare il conto della spesa. Più “a vista” di così… Il 27 novembre scorso, proprio mentre esplodeva la polemica sulle subordinate, la Banca d’Italia ha pubblicato un documento di consultazione in vista di una modifica delle norme. Vi si legge che “in considerazione delle problematiche emerse in occasione di alcuni episodi di crisi d’impresa (crac Coop Operaie Trieste e CoopCa, ndr), sono sviluppati interventi sulla raccolta presso i soci effettuata dalle cooperative con basi sociali ampie”.
Spiega la Banca d’Italia: “Alle cooperative, come a tutti i soggetti diversi dalle banche, è fatto divieto di effettuare raccolta ‘rimborsabile a vista’”, però “di fatto (…) le modalità commerciali con cui tale strumento viene presentato possono ingenerare nel pubblico l’idea di una sostanziale equiparazione di questa forma di raccolta rispetto a quella effettuata dalle banche”. Uno legge e pensa: “Ecco, adesso chiamano la polizia”. Macché. Arriverà una nuova norma per definire meglio che cos’è la “raccolta a vista”, e cioè si dirà che “la raccolta è comunque a vista se il prenditore dei fondi si riserva la facoltà di rimborsare il depositante immediatamente all’atto della richiesta o comunque prima di 24 ore dal preavviso”. Le Coop cambieranno qualche parola nei regolamenti, e tutti penseranno di essersi ancora una volta “parati il culo” (in Italia questo linguaggio ha, purtroppo, valore giuridico). E se dovesse fallire un’altra coop Bankitalia dirà di aver segnalato il problema “in tempi non sospetti”. La solita farsa.
Da il Fatto Quotidiano di mercoledì 6 gennaio 2016