Un sms. Poche parole disperate: “Caro Enrico, sono Maria Grazia Cipriani, questa mattina Luciano è morto, la strage silenziosa di Stato va avanti inesorabilmente”. Luciano Cipriani, avevamo raccontato la sua storia il 31 dicembre, era un maresciallo dell’Aeronautica militare e aveva 47 anni. Nel suo curriculum diverse missioni all’estero, Kosovo, Afghanistan…
Le guerre inutili, quelle che si combattono con bombe e proiettili all’uranio impoverito. Luciano aveva respirato a pieni polmoni l’aria di quei luoghi e calpestato le terre avvelenate dalle nanoparticelle. Senza protezioni. Caschi, maschere, tute, guanti, tutto l’armamentario che in quei teatri di battaglia usano americani e inglesi, ma che i nostri comandi, alti e altissimi, ritengono inutili orpelli.E quel veleno gli era entrato in corpo, lentamente, ma in modo inesorabile. Aveva attaccato il suo fisico possente, lo aveva piegato alle sue ragioni, quelle di un tumore che ha un nome terribile e impronunciabile: glioblastoma multiforme di IV grado. Gli aveva reso la vita impossibile. Chiuso in un letto in attesa della morte. La fine del corpo come liberazione dalle sofferenze. Luciano ha combattuto per un anno. Sballottato come un pacco postale da un ospedale all’altro. Sempre le stesse diagnosi. Senza speranza. La sua famiglia non si è arresa. È andata in Germania, ha sperimentato nuove cure, si è aggrappata ai timidi passi della scienza. Fratelli, un anziano padre e sorelle. Da soli. Senza l’aiuto di nessuno. Asl, ministeri, burocrazie, non sono mai stati dallo loro parte.
Povero Luciano, vittima dell’indifferenza. Di un Paese sempre uguale a se stesso. L’Italia di Tripoli bel suol d’amore, l’Italietta di “spezzeremo le reni alla Grecia”… Eroi con la vita degli altri quando si tratta di sedersi al tavolo dei Grandi per giocare alla guerra. Andiamo nei Balcani… armatevi (male) e partite. E poi in Afghanistan, in Iraq, prossimamente in Siria e forse nell’inferno libico. A esportare democrazia. Quante balle. Buone per soddisfare i pruriti guerreschi delle alte gerarchie militari e per ridicole foto sui campi di battaglia di primi ministri in mimetica da Rambo di paese.
Per il resto, missioni inutili: i Balcani sono un incubatore del terrorismo jihadista nel cuore dell’Europa, Afghanistan, Iraq e Libia ingovernabili. E i nostri militari muoiono avvelenati dall’uranio impoverito. 322 morti, prima di Luciano, 3 mila ammalati di tumore. Per tutti una lunga, estenuante battaglia legale (10 anni la media di una causa) per vedersi riconosciuti diritti elementari.
Muore Luciano, come tanti altri suoi commilitoni. Nella colpevole distrazione di un Paese che ama discettare sull’ultimo film del comico del momento, sulle prodezze di questo o quell’allenatore, sul patetico botox di un’attrice. Un’Italia assuefatta e poco seria che non vuole saperne di pace e guerra. I militari muoiono. È affar loro e delle loro famiglie. Figli, madri, sorelle saranno soli nella battaglia per il diritto alla verità.
Il Fatto Quotidiano, 9 gennaio 2016