Uno degli artisti più ribelli e più rivoluzionari del panorama britannico non poteva che nascere nel (molto) ribelle quartiere di Brixton, a Londra. Ed è qui che già a partire dalle prime ore dell’11 gennaio, giornata infausta per gli amanti della musica e del ‘Duca Bianco’, si sono ritrovati tantissimi fan giovani e meno giovani, persone che hanno vissuto con lui quegli anni e quegli stravolgimenti e anche ragazzi e ragazze che solo da poco tempo hanno scoperto la sua arte. L’8 gennaio del 1947, David Robert Jones, poi a tutti noto come David Bowie, nacque infatti in una modestissima casa di Stansfield Road, al numero 40, che oggi si mostra spoglia con le sue finestre sporche e quei mattoncini gialli tipici delle villette a schiera inglesi. A quanto pare nessuno abita qui ed è però qui che una piccola folla si è subito ammassata per portare fiori, candele, lettere, magari con in mano un cellulare di ultima generazione che sparava a tutto volume ‘Starman’.
La folla più grande tuttavia era a qualche centinaio di metri, nel cuore del quartiere di Brixton, di fronte alla fermata della metropolitana e a pochi passi dal mercato caraibico e africano, uno dei vanti (anche turistici) di questa zona povera che solo negli ultimi anni è andata incontro, fra le lamentele di molti, a un processo di ‘gentrificazione’, con affitti e prezzi delle case in aumento, negozi e caffetterie hipster che si moltiplicano come funghi e in generale uno stravolgimento del tradizionale tessuto sociale. La folla era appunto qui, di fronte a un murales a lui dedicato che sta su un lato dei grandi magazzini Morleys. Già a metà mattinata, quando ormai tutto il mondo aveva saputo della sua scomparsa, persone comuni e meno comuni, giornalisti, fotografi e cineoperatori di tutto il mondo si sono ritrovati ai piedi del murales, di fronte a una marea di mazzi di rose e biglietti lasciati da nuovi dandy, vecchi punk, molti hipster barbuti e anche signore che mostravano tatuaggi dedicati a Bowie. “Grazie per tutto, mi hai dato ispirazione in tutto quello che ho fatto”, si leggeva su un biglietto. “Stelle alle stelle. Cenere alla cenere”, aveva scritto qualcun altro.
Poco importa che Bowie a Brixton abbia vissuto solo fino ai sei anni di età, trasferendosi poi con la famiglia nel sud-est della metropoli inglese, nell’area di Bromley. Bowie è Brixton, Brixton è (anche Bowie), un quartiere che proprio fra la fine dei Quaranta e l’inizio dei Cinquanta del Novecento, quando il piccolo duca muoveva quei primi passi che poi sarebbero diventati acrobazie sui palchi di tutto il mondo, iniziò a trasformarsi accogliendo le prime ondate di migranti dalle colonie e dalle ex colonie del grande impero britannico. Per molti ancora associata alla microcriminalità, alla droga dai prezzi facili e al disagio sociale, Brixton è anche stata però un vero e proprio laboratorio di creatività e di arte, dove al momento ancora sopravvivono diversi locali notturni dedicati alla musica reggae e al rap, ma non solo. A Brixton si respira aria di Giamaica, aria di Caraibi in genere, aria di Africa. E il suo tradizionale mercato di spezie, pesce, carne, verdure esotiche e oggetti di ogni tipo ancora resiste agli assalti dell’era moderna e della globalizzazione degli anni Duemila. Anche quella che partiva allora era globalizzazione, tuttavia, nei suoi primi effetti, e se Londra è oggi quel grande calderone di genti e culture lo si deve anche a quei migranti che arrivarono con le valigie di cartone a Brixton, uno dei pochi quartieri dove era loro consentito vivere, mentre nel resto della capitale si potevano leggere cartelli come “no ai cani e ai colorati”.
Certo, Bowie di quella cultura ha forse vissuto solo alcuni aspetti, diventando poi uno dei capostipiti del rock, del pop e della rivoluzione sessuale, che nel Regno Unito, prima di sbarcare nel resto del mondo, voleva dire anche rivoluzione della musica, della moda, dei vestiti e del trucco in faccia. Così, allo stesso modo, non tanto della sua arte era ricollegabile ai tormenti delle comunità caraibiche e africane di Brixton, che per esempio fra il 10 e il 12 aprile del 1981 portarono a una delle più grandi rivolte mai viste in città. Migliaia di manifestanti affrontarono la polizia, incendiando case e automobili, dopo che un ragazzo nero era morto in seguito al suo arresto. Dopo la repressione delle forze dell’ordine e con molto lavoro anche da parte delle associazioni di volontariato e del welfare inglese, l’area ritrovò una certa tranquillità, anche se tuttora a molti non verrebbe mai in mente di camminare di notte in certe strade laterali.
Uno dei quartieri più belli e caratteristici di Londra è così anche uno dei più bistrattati e demonizzati, nonostante l’enorme apporto alla cultura del Regno Unito da parte delle comunità di britannici originari di altre parti del mondo. Oggi, appunto, il fascino di Brixton si mescola con quello di David Bowie. E c’è da giurare che decine di migliaia di persone verranno a rendergli omaggio nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, se non nei prossimi anni. Fra l’altro, proprio a Londra una visitatissima mostra del Victoria & Albert Museum aveva celebrato, nel 2013, l’arte e la vita di Bowie, consacrandolo all’empireo dell’arte. E, in un certo senso quindi, dell’immortalità.