L'azionista pubblico avrà solo il 23,5% del capitale. In teoria, la società è pienamente contendibile da parte di società private italiane o straniere. Resta la possibilità di attivare il cosiddetto golden power. In ogni caso per lanciare la "scalata" al gruppo energetico servirebbero oltre 11 miliardi
Il Tesoro scende sotto quota 25% del capitale di Enel. E’ l’effetto dell’integrazione nel gruppo della controllata Enel Green Power, la società delle rinnovabili fondata nel 2008 e quotata in Borsa dal 2010. L’operazione di fusione, approvata lunedì dalle assemblee, prevede infatti che agli attuali soci di Egp siano assegnate azioni Enel di nuova emissione. Il risultato è che nel portafoglio del ministero dell’Economia, che un anno fa ha venduto il 5,7% del gruppo portandosi al 25,5%, ne rimarrà solo il 23,5%. L’azionista pubblico è dunque sotto la soglia tecnica di controllo. In teoria, la società diventa così pienamente contendibile da parte di società private italiane o straniere.
Va però ricordato che quando in gioco ci sono attività strategiche nel settore dell’energia e delle infrastrutture il governo può attivare il cosiddetto golden power, cioè un potere di veto (introdotto dal governo Monti al posto della precedente golden share) che consente di bloccare eventuali scalate ostili da parte di gruppi extra europei. Peraltro per lanciare un’offerta pubblica di acquisto su Enel bisognerebbe mettere sul piatto oltre 11 miliardi di euro.
Gli azionisti che vogliono esercitare il diritto di recesso e il diritto di vendita possono farlo a 1,78 euro per azione, entro quindici giorni dalla data di iscrizione della delibera di approvazione della scissione nel registro delle imprese di Roma. L’operazione andrà in porto solo se il valore di liquidazione dei titoli di Enel green power non supererà i 300 milioni di euro.