Raccontata sabato scorso da Cose nostre (RaiUno, ore 23:40), la vicenda di Arnaldo Capezzuto, cronista di nera minacciato di morte per aver raccontato le faide di camorra che hanno insanguinato il rione napoletano di Forcella, è la storia della corda che strangola l’informazione, soprattutto al sud. Un dramma professionale e umano di cui il Fatto aveva scritto nell’agosto scorso sulla base dell’ultimo rapporto della commissione Antimafia, presieduta da Rosy Bindi.
Un quadro impressionante: intimidazioni quotidiane, undici giornalisti caduti sotto i colpi delle mafie e del terrorismo, venti quelli che vivono sotto scorta. Eppure, era sembrato che la relazione di Claudio Fava fosse passata sotto silenzio, come se il bavaglio fosse ormai una condizione normale a cui rassegnarsi, e senza tante storie. Poiché in quei giorni s’insediavano i nuovi vertici Rai, provammo a chiedere (non si sa mai) ai colleghi Maggioni, Freccero (e agli altri giornalisti componenti il Cda) un impegno a portare queste storie in prima serata, realizzando così un doppio servizio pubblico. Aiutare un giornalismo coraggioso e di trincea. Dimostrare nei fatti che il povero cavallo di viale Mazzini può non essere simbolo soltanto delle solite spartizioni.
Sarà stato certamente un caso, ma poche settimane dopo è stato varato Cose nostre, programma firmato da Emilia Brandi, insieme a Giovanna Ciorciolini e Tommaso Franchini, con la regia di Andrea Doretti. A notte fonda (non si può avere tutto) e su RaiUno, la rete di Giancarlo Leone questa volta fa notizia non per le lancette anticipate di Capodanno o per una bestemmia. Nessuna antimafia di comodo ma la televisione capace di raccontare, quella che scende nei vicoli dove fu uccisa per sbaglio, durante una sparatoria, la piccola Annalisa Durante.
Quella che, fuori da ogni retorica, sa riempire di realtà un tentativo quasi disperato di riscatto: la libreria aperta a Forcella da Giovanni Durante, papà di Annalisa, presidio di carta e scudo civile al piombo degli assassini. A guidarci in questo mondo a parte, a due passi dalla stazione di Napoli Centrale, c’è Capezzuto, testimone di un’altra via crucis, quella dei giornalisti costretti a scrivere, per pochi euro e nell’ombra di qualche testata locale, notizie fastidiose per quel politico o quel boss.
Spesso con editori più attenti a non scomodare il potente di turno piuttosto che a difendere il diritto costituzionale alla verità. Cronisti testardi a cui incendiano l’auto o minacciano i figli e che se non stanno attenti possono fare la fine di Giancarlo Siani, ucciso perché “non si faceva i fatti suoi”. Cronisti precari o che restano senza un giornale, come Arnaldo che oggi scrive di “notizie oscurate” sul blog del fattoquotidiano.it. Cronisti da difendere come una specie in via d’estinzione perché può succedere che, alla fine, per quei quattro soldi e una vita difficile può venire voglia di gettare la spugna. Seguiranno altre quattro storie di cronisti coraggiosi, quattro riflettori accesi per aiutarli a tenere duro. Come ognuno dovrebbe fare nel nostro mestiere. Sì, sono Cose nostre. Cose di tutti.