Un evento di assoluto rilievo quello che domenica scorsa il Teatro dell’Opera di Firenze ha ospitato sul suo palco: l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, diretta per l’occasione da John Neschling, ha presentato un programma di grande fascino e, tanto storicamente quanto stilisticamente, particolarmente variegato. Al Notturno in Sol bemolle maggiore, op. 70 n. 1 di Giuseppe Martucci e al Concerto in fa diesis minore op. 20 di Aleksandr Skrjabin, entrambi eseguiti nella prima parte della serata, ha avuto seguito, nella seconda parte, la Sinfonia n. 5 in do minore op. 67 di Ludwig Van Beethoven. Opere distanti fra loro non solo da un punto di vista meramente cronologico, ma anche e soprattutto culturalmente e stilisticamente parlando.
Vellutato è il suono che Neschling riesce a tirar fuori dall’orchestra del Maggio in luogo dell’esecuzione del primo brano in programma, il Notturno di Martucci: le melodie rimbalzano tra i fiati e il primo violoncello, in un notturno che ricorda molto da vicino le suggestioni simboliche tipiche del migliore Debussy. Un autore, Martucci, ingiustamente molto poco noto al grande pubblico e che meriterebbe perciò di essere ascoltato con maggior frequenza.
A seguire giunge il Concerto di Skrjabin in tre movimenti, un momento dalle forte suggestioni timbrico-armoniche che si colloca, storicamente parlando, nello stesso periodo del Notturno di Martucci: le prime esecuzioni storiche infatti risalgono rispettivamente al 1897 e al 1901, dato a dispetto del quale le due opere presentano caratteristiche ben distinte. A un Martucci gentilmente connesso, seppur orchestralmente parlando, alle volate melodiche di un belcantismo tutto italiano, fa da contraltare uno Skrjabin felicemente proteso verso le avanguardie che domineranno, di lì a poco, la scena musicale europea. Al pianoforte del concerto di Skjabin siede il russo Mikhail Pletnev, il cui tocco si rivela essere amabilmente sognante, delicato, mai eccessivamente aggressivo, laddove il dialogo con l’orchestra funziona alla perfezione. Due sono i bis concessi dal pacato pianista russo che, prima di abbandonare definitivamente la sala, decide di salutare il suo pubblico, visibilmente e sonoramente soddisfatto delle sue esecuzioni, con Chopin.
Fine dunque della prima parte e inizio della seconda, non senza un notevole salto temporale all’indietro. Silenzio, totale sospensione del tempo prima di uno degli incipit orchestrali più noti e celebri dell’intero repertorio sinfonico di ogni tempo: due note, la prima ribattuta tre volte, sembrano proprio voler dire “Ecco il destino che bussa alla porta”, come pare ebbe a rispondere lo stesso Beethoven a un critico musicale che gli domandava il perché di un inizio così impetuoso.
Ora, per la Sinfonia n. 5 di Beethoven, l’Orchestra del Maggio è al completo, sotto una direzione che si rivela essere precisa, senza sbavature ma, in alcuni punti, un tantino rigida. Il rispetto dei tempi beethoveniani, tanto cari al compianto Claudio Abbado, è totale tanto nel primo quanto nell’ultimo movimento, meno invece sia nel secondo che, e in modo particolarmente evidente, nel terzo, movimento quest’ultimo che avrebbe certamente meritato una spinta agogica e un brio maggiori. Brio che riprende, come già accennavamo, in luogo dell’esecuzione del quarto e ultimo movimento, momento sinfonico di grande spessore e molto ben diretto da Neschling.
Elemento poi di assoluto pregio in questa direzione fiorentina è stata la particolare attenzione, con una sostanziale cifra interpretativa, alle dinamiche che tanto caratterizzano la scrittura beethoveniana, con elementi di assoluta novità rispetto alle esecuzioni più celebri di una delle pietre miliari del sinfonismo.