Mafie

Torino, per giudici d’Appello la gang romena “Brigada” non è una mafia. Ridotte le condanne per 14 persone

La banda è accusata di sfruttamento della prostituzione, spaccio e racket. Ma per i presunti esponenti è caduto il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, riconosciuto in primo grado. Avvocati: "Non c'è né l'assoggettamento né il controllo del territorio". Attese le motivazioni

Non è una mafia. La “Brigada”, banda composta da criminali romeni guidati da Viorel Oarza prima, poi da Eugen Gheorghe Paun, non è assimilabile a Cosa nostra, alla camorra o alla ‘ndrangheta. Lo hanno deciso i giudici della Corte d’appello di Torino nei confronti di quattordici persone ritenute esponenti di questo gruppo dedito allo sfruttamento della prostituzione, allo spaccio, al racket di alcuni locali notturni e alla clonazione di bancomat nel capoluogo piemontese. Nell’ottobre 2014 erano stati condannati per 416 bis, associazione a delinquere di stampo mafioso. La gang è uno dei pochi gruppi stranieri accusato negli ultimi anni di questo reato.

La sentenza della corte, presieduta da Simonetta Rossotti, ha così ridotto drasticamente le condanne. Vanno da un minimo di un anno a un massimo di sei per i semplici membri, mentre per Paun si arriva a dieci anni di carcere contro i quindici ottenuti in primo grado. Per i primi inoltre è stata disposta la scarcerazione, mentre il boss rimanere ancora in cella.

In attesa delle motivazioni della sentenza, secondo l’avvocato Flavio Campagna, difensore di Alina Maria Ursache (moglie di Oarza), i magistrati hanno riconosciuto come validi gli argomenti sostenuti dai legali: “Si trattava di una compagine delinquenziale che non aveva nessun connotato riconducibile alle organizzazioni mafiose perché la comunità romena a Torino non avvertiva la presenza di una mafia. È solo un gruppo di romeni che sbarcava il lunario in maniera illecita, ma senza una forza intimidatrice sulla loro comunità”.

Concorde Carlo Maria Romeo, altro difensore e avvocato che segue molti casi di criminalità organizzata: “I giudici devono aver ritenuto che non esistano né l’assoggettamento né il controllo del territorio, elementi tipici delle mafie italiane – spiega – Per questo l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso è caduta ed è stata sostituita da quella di associazione semplice. Inoltre altre ipotesi di reato sono state ridimensionate”. Tra queste c’era anche un regolamento di conti, un violento pestaggio definito come “tentato omicidio”: il sostituto procuratore Giulio Toscano aveva chiesto di riqualificare il reato in lesioni aggravate, ma la Corte ha ritenuto invece che si trattasse di una rissa aggravata.

Bocciata, dunque, la decisione del gup Luisa Ferracane che nell’ottobre 2014 aveva confermato l’ipotesi della Direzione distrettuale antimafia di Torino e aveva ritenuto “accertato, concretamente, il metodo mafioso, e cioè la forza di intimidazione, con conseguente diffuso assoggettamento ed omertà, derivante dal vincolo associativo”. Una chiave di lettura, quest’ultima, apprezzata anche da altri colleghi della V sezione penale che a novembre, durante il dibattimento, hanno condannato a 27 anni e mezzo per mafia due imputati ritenuti i “generali”, figure importanti nella gerarchia dell’organizzazione. Nei mesi scorsi, inoltre, è diventata definitiva la condanna a più di tre anni di Ovidiu Dumitru Ciobica: il suo ricorso in appello aveva dei difetti formali ed è stato dichiarato inammissibile.