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L’editoriale del neo direttore de La Stampa Maurizio Molinari sui fatti di Colonia ha suscitato molte polemiche. Il richiamo al “tribalismo” nel quale Molinari vede affondare le radici dei comportamenti che gruppi di immigrati hanno avuto nei confronti delle donne in Germania, gli è valsa l’accusa di colonialista di ritorno.

Certo l’ex inviato e corrispondente dai punti più caldi del mondo, a cominciare proprio dal Medio Oriente, non ha tradito il suo stile molto diretto ma sempre “dentro” i fatti, i luoghi, la storia. E anch’io sarei rimasta colpita da alcune sue affermazioni (“Il domino di disintegrazione di queste nazioni fa riemergere tribù e clan come elementi di aggregazione, esaltando forme primordiali di violenza (…) fra chi arriva vi sono portatori di usi e costumi che si originano dalle lotte ataviche per pozzi d’acqua, donne e bestiame”) se non avessi letto parole molto simili in un libro importante, sul quale ho scritto anche in queste pagine: Violenza e Islam (Guanda) del poeta siriano Adonis, uno dei massimi intellettuali arabi contemporanei.

Non è solo sull’origine tribale di certi comportamenti che insiste Adonis, ma sul ruolo che l’Islam riserva all’uomo e alla donna: “Il maschile è simbolo di Dio. È il re, il califfo terreno. E la donna è una sua proprietà”. È scritto nel Testo: “Le vostre donne sono come un campo per voi, venite dunque al vostro campo a vostro piacere”. Ed essendo il campo da coltivare, la donna esiste solo per generare. “Tutta la sua femminilità, tutta la sua dimensione rivoluzionaria, tutta la sua bellezza come elemento essenziale dell’esistenza, ovvero del cosmo, sono invitate a eclissarsi o a scomparire” scrive Adonis. “E per rafforzare questa superiorità dell’uomo, la religione ha fatto della donna il simbolo del peccato”.

La questione femminile sta da sempre molto a cuore ad Adonis, che si è trovato a dover chiudere la rivista Mawāqif quando si è reso conto che non sarebbe mai riuscito a pubblicare un’inchiesta sulla situazione della donna musulmana alla luce dei testi della legge e della giurisprudenza perché nessuno dei molti specialisti e giuristi che aveva interpellato osava assumersi la responsabilità di toccare l’argomento.

La responsabilità di ogni atto di violenza è personale e nessuno, tantomeno il poeta siriano, può caricare l’intera comunità islamica di una colpa collettiva. Ed è comprensibile che alcuni intellettuali musulmani, come la scrittrice Igiaba Scego, si siano risentiti per l’approccio di Molinari alla questione Colonia. Senza contare che alle destre più retrive non sembra vero poter usare le aggressioni del 31 dicembre come cartina al tornasole della pericolosità di quest’ultima onda migratoria di profughi. Che tuttavia, è bene ricordare, fuggono in massa proprio dalle violenze perpetrate su uomini e donne dagli estremisti islamici.

Occorre abbassare la temperatura, ragionare con calma, nella consapevolezza che interrogarsi sull’origine della diversa visione che il mondo musulmano ha della donna e dei rapporti fra i sessi non può essere equiparato a una nuova forma di colonialismo, ancorché culturale.

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