Le “valutazioni” sul valore di immobili, magazzini, crediti incagliati e altri attivi di bilancio continuano a rientrare nel perimetro del reato di falso in bilancio. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione: i giudici della Quinta sezione penale, nelle motivazioni di una sentenza dello scorso autunno appena depositate, chiudono così il “buco” aperto dalla nuova legge varata dal governo Renzi lo scorso anno. Legge che ha reintrodotto nell’ordinamento il reato di falso in bilancio e ha inasprito le pene, ma ha anche cancellato dal testo precedente l’espressione “ancorché oggetto di valutazioni”. Con il rischio che gran parte delle voci dello stato patrimoniale e del conto economico potessero sfuggire alle indagini e alla punibilità: infatti, come rileva la sentenza, la stragrande maggioranza del bilancio è frutto di valutazioni sul valore degli attivi e non di meri “fatti materiali”.
La prima interpretazione della Suprema corte era stata a dire il vero in senso opposto: i giudici erano arrivati alla conclusione che la riforma escludeva che le valutazioni potessero avere un peso penale. E proprio con questa motivazione la stessa Quinta sezione, a giugno, aveva annullato la condanna in primo grado per bancarotta a 6 anni e 9 mesi dell’ex sondaggista di Berlusconi, Luigi Crespi, per l’affaire Hdc.
In novembre però i giudici si sono espressi su un altro caso, relativo a una srl che aveva sottostimato l’ammontare dei propri crediti incagliati, e hanno ravvisato, come riporta Il Corriere della Sera, che l’inciso soppresso era “inutile” perché l'”ancorché” aveva solo “finalità ancillare, meramente chiarificatrice”: “Non può allora dubitarsi che nella nozione di rappresentazione dei fatti materiali e rilevanti non possano non ricomprendersi anche e soprattutto tali valutazioni”. Peraltro, chiosano, “l’esclusione delle valutazioni” avrebbe l’effetto di risolversi in una “improponibile” abrogazione della nuova fattispecie del reato. Non solo: le valutazioni non possono essere totalmente soggettive ma devono uniformarsi a direttive e regolamenti comunitari, standard internazionali e prassi contabili generalmente accettate. E “il mancato rispetto di tali parametri comporta falsità della rappresentazione valutativa”.
A questo punto, visto che le sentenze giungono a conclusioni opposte, non è escluso che sul tema debbano pronunciarsi le Sezioni unite della Cassazione.