Era l’alba. Un’alba di alcuni fa, in Versilia. Esco con la mia videocamera per catturare l’alba. Vado sul cavalcavia, filmo l’autostrada sotto di me, le macchine e i camion, è ancora notte,
ma l’alba sta per arrivare, il gallo sta per cantare, ed ecco che si ferma una macchina, esce un poliziotto, un poliziotto sospettoso.
“Lei che cosa sta facendo?”, mi fa in tono duro senza nemmeno stringere la mano che gli porgo. Non ho con me la carta d’identità e mi sento a disagio.
“Sto filmando l’arrivo dell’alba, sono un filmmaker”, dico con tutta l’innocenza possibile.
“Non mi interessa che cosa è lei” mi ribatte.
“Sto facendo qualcosa di illegale?”, il poliziotto mi osserva, cerca di capire chi ha davanti, e risponde: “Non ancora”. “Le sembra così strano avere il desiderio di filmare l’alba?”, a questo punto provo antipatia per l’atteggiamento arrogante del poliziotto.
Il poliziotto risponde: “A me lei sembra strano, non il suo desiderio di filmare l’alba”.
“Posso continuare a fare il mio lavoro? ” gli dico seccato. Mi guarda, e prima di rientrare in macchina mi dice: “E cerchi di fare meglio il suo lavoro”. E sgomma.
Ecco, mi capitano abbastanza spesso episodi del genere. Se sei un filmmaker solitario sei un filmmaker sospetto. Bisogna accettarlo. Sono gli inconvenienti della solitudine. Quando la solitudine è un mestiere, come nel mio caso. Una cosa simile mi è capitata con “Fil Rouge”.
In una notte di pioggia a Milano mi aggiravo con la mia fedele videocamera alla ricerca dell’amore, filmavo il colore rosso, cercavo un filo rosso ancora vivo, ancora tremante d’amore, in una città come Milano. Cerco sempre la vita quando filmo. L’ultima immagine doveva essere un pacchetto di sigarette rosso dentro un distributore automatico davanti al carcere di San Vittore. Si ferma una volante della polizia. Esce un poliziotto gentile, sospettoso ma gentile questa volta. “Mi scusi, ma che cosa sta facendo?”. Rispondo che sto filmando il colore rosso in giro per la città. Il poliziotto sorride, mi guarda come se fossi un tipo strambo, come per dire “quanto è varia l’umanità”. Mi dice che non è possibile filmare davanti al carcere. Ormai è tardi, il film è fatto, in fondo non è necessaria l’immagine che volevo filmare, chiudo la macchina e dico: “Grazie agente, e mi scusi, non lo sapevo”. Ci salutiamo con cordialità. Quando voglio so essere un cittadino modello.
In quel caso tra le forze dell’ordine e quelle del “disordine” c’è stata una stretta di mano. In fondo si può convivere pacificamente, anche io sono un poliziotto, solo che la mia divisa è l’universo, e le stelle bruciano le radici fluide del sangue.